Io ho un’amica che quanto a tette non prende lezioni da nessuno. Immaginatela e mettetela da parte per un attimo, ci torneremo subito.
Ieri è morto Ettore Scola. Uno degli ultimi maestri del Cinema italiano. Credo anche io che fosse un maestro. Però non sono sicuro che i maestri siano in via di estinzione.
Durante l’edizione 2012 della Valigia dell’Attore, un festival di cinema dedicato alla memoria di Volontè, Scola venne a La Maddalena come ospite. Io collaboro con gli organizzatori del festival da una decina d’anni. Mi occupo di cose pratiche come seguire il punto di ristoro all’aperto, preparare i panini con salsiccia o capocollo (questi ultimi sono veramente notevoli), allestire mostre, fare manutenzioni varie. Ogni tanto mi capita di accompagnare gli ospiti.
Quell’anno Scola tenne una lezione bellissima sul mestiere d’attore, scomodando niente meno che il padre degli Dei. Disse infatti che Zeus, interessato agli uomini in generale e alle donne in particolare, e non avendo molto successo con queste ultime, per conquistarle si studiò di trasformarsi in personaggi che erano altro da sé e inventò così il lavoro di attore. In quell’occasione Scola presentò anche un suo cortometraggio, credo ancora inedito per problemi di diritti d’autore. Una storia bellissima in cui un bambino inseguito da soldati tedeschi durante la Resistenza, si rifugia nel buio di un cinema sperando di non essere scovato. Lì inizia a guardare e a venire rapito dalle immagini che scorrono sullo schermo. Il metafilm, il film nel film, è in realtà una sequenza dei capolavori che il cinema di tutto il mondo ha sfornato dalle sue origini fino a oggi. Verso la fine della proiezione il bambino è diventato un vecchio e si rende conto, e noi con lui, che la guerra è finita, che l’Italia è entrata nel nuovo secolo e che il cinema, in un certo senso, gli ha salvato la vita. In quel momento un piccolo immigrato fa irruzione nella sala ancora buia, inseguito non si sa bene da quale banda, e si siede non lontano dal vecchio. La storia si ripete e il cinema è ancora lì per dare il suo piccolo contributo di libertà e di bellezza che salva.
Quella stessa sera, alla fine della cena di chiusura, ebbi la fortuna di accompagnare Scola e la sua signora al loro albergo. Non parlammo di cinema, se non di striscio. Parlammo di mare e di isole. Lui faceva domande e io gli rispondevo. Mi chiese un sacco di cose su La Maddalena, la Gallura e la Sardegna. Tutte storie che secondo me in buona parte sapeva già, ma volle lo stesso farsele raccontare ancora. Era interessato agli uomini, come Zeus.
Tornato alla cena raccontai della chiacchierata alla mia amica. Lei mi lasciò parlare e poi mi disse: “Ha parlato molto anche con me, mi ha fatto un sacco di domande, ma non mi ha tolto un attimo gli occhi dalle tette”.
Come Zeus, ho pensato. Come Zeus.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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