Viene un momento, nella vita, in cui il cuore si ammorbidisce come un frollino inzuppato nel caffellatte ed anche le cose più insignificanti lucidano gli occhi di un velo le lacrime, facendoci sentire molto ridicoli e indifesi. A me è successo poche ore fa, quando ho saputo della morte di Black. Molti non lo sanno neppure chi fosse Black, ma non si devono sentire in difetto: era un cantautore inglese, vestiva di scuro e di lui si ricorda un’unica hit, datata 1987. S’intitolava Wonderful Life e io, in quasi trent’anni, non l’ho mai dimenticata. Perché ci sono melodie che ci restano appiccicate per tutta la vita, ci abbracciano e non ci mollano più: dipende dal momento in cui ti buttano le braccia al collo. Avevo 16 anni, stavo dentro un pullman che correva sull’autostrada, assieme ai miei compagni di liceo. Era la prima vera gita scolastica da quasi adulti, minorenni ma lontani dagli occhi dei genitori. Una gita oltre il mare, con la notte in traghetto, il mistero di luoghi sconosciuti e tutto il resto. Ci portarono sulla costiera amalfitana. Credo fosse aprile. Ci lasciavamo travolgere dalle raffiche d’aria tiepida che s’infilavano nei finestrini spalancati del nostro autobus. Poi partì questa canzone e io ebbi la sensazione immediata che mai più l’avrei dimenticata. Lenta, nostalgica, intensa, anche per adolescenti senza rimpianti. Avevamo sedici anni e ci sentivamo invincibli, padroni della vita e del futuro, appena partiti per le strade della gloria. Sorridevamo guardandoci negli occhi, lasciando dietro di noi una scia indistinta di voci e musica. Si, non poteva che essere una Wonderful life, la nostra.
Oggi ho scoperto che Black era stato una meteora anche per scelta, non essendosi trovato a suo agio nell’ambiente musicale. Non ne accettava i vizi e i compromessi. Perciò aveva preferito tornarsene nell’ombra, continuando a suonare lontano dai clamori di quel magnifico 1987, quando io eci miei compagni di liceo credevamo di avere la vita in pugno. Ma siccome la compiutezza di un’esistenza non si misura dal numero di apparizioni televisive e dalle settimane in cima ad una classifica di vendite, è possibile che la vita di Black sia stata davvero quella che aveva scelto, fino al giorno dello schianto in macchina. Mimetizzata nei chiaroscuri di una celebrità sbiadita presto ma mai del tutto: quando ho scaricato il brano dall’Apple store, ho trovato una decina di cover del suo più grande successo interpretate da artisti di primo piano. Mi piace credere che Black, di cui non so quasi nulla, sia stato un uomo felice. È il mio modo di ringraziare Colin Vearncombe: anche il suo vero nome l’ho saputo solo oggi.
Sono passati quasi ventinove anni da Wonderful life e non lo so se la mia vita sia stata come me la immaginavo quel giorno sul pullman lanciato in autostrada. In realtà non mi ricordo neppure cosa volevo diventare, segno che non deve essere stato nulla di serio. Mi ricordo solo una canzone magnifica, il vento tra i capelli, i sorrisi, la voce carezzevole di un cantante sconosciuto e in corpo tanta vita da poterne regalare.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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