Vorrei che tu fossi qui, seduto sul divano vicino alla stufa, quello lontano dal televisore dove ora sonnecchiano i gatti. Lo stesso divano dove ti eri seduto una domenica pomeriggio di una decina d’anni fa. Non è che ci fosse questa grande confidenza, ma avevo molta simpatia per te, per i tuoi modi da persona perbene, per le tue parole misurate da persona assennata e rispettosa. Era una domenica pomeriggio, credo con le stesse promesse primaverili di questa appena fuggita. Ero solo a casa. Sentii suonare il campanello e accolsi il trillo con un moto di stizza. Mi affacciai, eri tu. Portavi una giacca a quadretti e la cravatta, vestito come quelli che onorano la giornata di festa. Io, invece, m’ero infilato una di quelle tute domenicali che solo un occhio attento avrebbe potuto distinguere da un pigiama flanellato. I pantaloni mi arrivavano alle ascelle, davanti al televisore avevo disposto un tavolino su cui fumava davvero una frittata appena levata dal fuoco. Aspettavo l’inizio della partita sorseggiando una Nastro Azzurro, culmine di una scena veramente fantozziana. Rimasi sorpreso quando ti vidi entrare, perché non ci frequentavamo. Pensai fossi venuto per chiedere qualcosa, invece no, era proprio una visita. Ti sedesti sul divano di sinistra, io su quello davanti al televisore. I due divani formano un angolo di novanta gradi, perciò quando parlavi io dovevo voltarmi per educazione dalla tua parte e distogliere lo sguardo dalla tv e dalla partita. Io sono un italiano medio e la partita non me la può togliere nessuno, né mi si deve distrarre dallo spettacolo. Cercavo di non essere maleducato, senza riuscirci. Tu parlavi, parlavi, parlavi e io rispondevo meccanicamente chissà cosa, senza aver sentito le domande. Finché tu non vedesti un pelo grigio sul divano e me lo facesti notare. “Sarà mica di un gatto?”, chiedesti. Una mischia in area nata da un calcio d’angolo m’impedì di risponderti. Ma tu proseguisti. “Sai, perché mia figlia è allergica ai peli del gatto. Se mi si appiccica sui vestito e lo porto a casa, poi sono guai. Sta male subito”. Un lampo diabolico m’attraversò la mente. “Ah sì? Allora abbiamo un serio problema, perché qui i gatti stanno sempre a casa e dormono sul divano”. Il che era vero. Ma lo sottolineai con un piacere quasi liberatorio, convinto di aver trovato la carta decisiva per salvare i novanta minuti. Scappasti via dopo un saluto volante, io mi accasciai sul divano soddisfatto ma, finita la partita, mi sentii un verme.
Mi sei venuto in mente oggi, vedendo una vecchia partita in tv e i gatti addormentati sul divano. In questa domenica luminosa, in questi giorni senza libertà dove la frontiera invalicabile è il cancello del cortile. Ho pensato a quante domeniche luminose, a quanta aria aperta e a quante chiacchierate con amici ho rinunciato per un divano e una partita, mentre la vita scorreva via e io ignoravo il valore di ogni singolo giorno.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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