Tra gli slogan di questa campagna elettorale c’è anche il “vota sardo”, uno dei messaggi su cui punta la coalizione indipendentista in lizza per le politiche. Andando oltre idee e programmi, l’invito è quello di votare per chi è sardo o si propone di rappresentare la sardità. Attenzione alle sfumature: non è un invito a votare indipendentista, una scelta pienamente politica perché l’indipendentismo si regge su un complesso di idee che possono essere condivise anche da chi non è sardo. No, questo è un invito a votare sardo. Una condizione congenita che, sembra di capire, da sola rappresenterebbe una garanzia. L’invito mi sembra parente stretto di quello delle candidate che invitano l’elettorato a sceglierle “in quanto donne”. Io dovrei votare delle persone perché, nell’infinito calcolo delle probabilità, al momento della loro nascita hanno estratto dal mazzo le carte “sardo” e “donna”. Qualcuno obietterà che essere sardi non è solo una condizione geografica, ma presuppone tutto un retroterra storico e culturale. Basta solo guardare alle storie personali di chi è nato in Sardegna per arrivare alla ovvia conclusione che, per quanto si possa partire tutti dallo stesso luogo, alla fine ciascuno di noi percorre una strada diversa, arriva a conclusioni differenti (oppure alle stesse conclusioni, ma seguendo diversi sentieri) e si forma seguendo ciascuno un proprio orizzonte. Alla fine tutto si riduce all’unicità di uomini e donne che, uniti in un progetto politico, possono essere tenuti insieme da comuni obiettivi, da idee condivise. È la forza di questi collanti che conta, non il certificato di nascita. In Sardegna sono nati Lussu, Gramsci e Berlinguer. Ma in Sardegna sono nati anche pessimi politici, banditi sanguinari che mutilavano i bambini, scienziati che hanno formato il manifesto della razza e hanno auspicato, in pubblicazioni pseudoscientifiche, una “Sardegna ariana”. In mezzo a questi estremi ci sono tante persone comuni che in Sardegna fanno politica. Alcune per pura passione, altre soprattutto per ambizione personale, altre ancora per promuovere interessi extrapolitici. Non basta essere sardi per essere giusti, capaci e avere nel cuore la propria terra. Bisogna guardare alle parole e alle storie di ciascuno per capire da chi si possa essere degnamente rappresentati. Abbiamo avuto di recente un sottosegretario alla Cultura sardo, i cui infortuni non erano certo il risultato delle interferenze romane. No, erano tutti suoi. Abbiamo avuto un deputato sardo e indipendentista che ha proposto di esportare il marchio della Sardegna su Marte, ci ha raccontato che la Francia ci stava rubando il mare e ha scambiato un battello che bonificava le acque inquinate per una trivella petrolifera della Saras. Sappiamo essere geni o incapaci come uomini e donne di qualunque altro popolo. Non mi interessa se un candidato è nato a Cagliari, Sassari, Armungia o Ales, io a un candidato chiedo idee. Voglio sapere cos’abbia in testa per collegare sempre più la Sardegna al resto del mondo – ammesso e non concesso che gli interessi – voglio capire quale modello economico intenda proporre, se consideri l’industria ancora importante e in che modo voglia rilanciare l’agricoltura. Mi interessa sapere se il modello Costa Smeralda lo consideri giusto o sbagliato (se ascolti dieci sardi su quel tipo di sviluppo, avrai dieci opinioni diverse) e su quale turismo intenda puntare. Voglio capire se intenda confermare lo sforzo per promuovere la rete ciclabile sarda oppure se la consideri un inutile spreco di risorse. Vorrei sapere in che modo intenda dismettere le basi militari, posto che molti sardi – piaccia o no – sono contrari anche perché direttamente coinvolti e, in ogni caso, hanno diritto a un futuro alternativo. Voglio sapere da un candidato se creda in una società multirazziale ed integrata e se veda nei nuovi fascismi – anche quelli che trapelano in Sardegna – un pericolo. Questo mi interessa, non la sua certificazione di sardo doc. Mi interessa che parli col mondo, che costruisca ponti e non che innalzi muri, come se già non ce ne fossero abbastanza.
Quando Berlinguer è morto, io avevo tredici anni. Non ho mai potuto votarlo, ma se ne avessi avuto il tempo lo avrei fatto. Per tutta la carica ideale e i messaggi universali che viaggiavano sulle sue gambe, non perché fosse sardo. Non ho invece mai votato neppure per Cossiga, che ormai aveva rinunciato alle candidature quando io sono diventato maggiorenne. Ma non lo avrei votato comunque perché lo sentivo interprete di una politica molto lontana da me, pur essendo nato a poche decine di chilometri da dove vivo. Mi ha colpito, ma non sorpreso, il fatto che molti tra coloro che promuovono il “vota sardo” abbiano deriso quegli altri sardi che, domenica scorsa, sono andati a vedere il leader del M5S Di Maio a Nuoro, chiedendo di farsi fotografare con lui a fine forum. Li deridevano non sul piano delle idee, ma perché desideravano farsi fotografare con “uno venuto da fuori”. Chiedere un selfie ad un politico non è chiederlo ad un calciatore o una tronista di Maria De Filippi. Evidentemente, in quel politico “venuto da fuori”molti sardi vedono una speranza e da lui si sentono rappresentati (io non sono certamente tra questi, ma poco cambia). Peraltro nessun sardo si sognerebbe di dileggiare un altro sardo che desideri farsi fotografare assieme a Gigi Riva, forse l’idolo che più di qualunque altro unisce il nostro popolo. Certo, Riva “è venuto da fuori” ma della Sardegna ha fatto la sua vita. Perché alla fine è la storia personale di uomini e donne che li rappresenta, con tutte le scelte e le rinunce. E le categorie in cui vogliamo costringere queste persone lasciano il tempo che trovano, che siano “sardi doc” o “venuti da fuori”.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design