L’Eurofestival sarebbe pure una roba interessante se non eccitasse un istinto nazionalista che dovrebbe restare fuori da quella meraviglia senza confini che è la musica. Guardando la finale in tv ho provato un certo sconcerto, soprattutto per come è stata commentata l’evoluzione della classifica. Fin da subito, è apparso evidente il gradimento per la canzone portoghese e, man mano che la vittoria lusitana prendeva forma, balenava una sorta di incredulità per la scarsa considerazione riservata al nostro Gabbani.
Che “Occidentali’s karma” sia l’ennesima canzonetta “stagionale” mi pare evidente. Al di là del testo più o meno ricercato e delle implicazioni filosofiche (ma forse in Ucraina e Armenia non se ne sono accorti) resta un motivetto ballabile e nulla più. Con una buona musica e un po’ di scenografia, potremmo canticchiare e ballare pure il “De rerum natura” di Tito Lucrezio Caro. Di che sorprendersi, quindi, se una delle poche canzoni con un’anima, quella portoghese appunto, risulta più gradita della nostra proposta pop trash?
Questa convinzione di essere comunque i migliori ce la portiamo sempre dietro in maniera illogica. E che dovrebbe dire il Regno Unito, finito addirittura al quindicesimo posto? Fosse per me, la vittoria per la migliore canzone europea dell’anno sarebbe quasi sempre un discorso tra inglesi, scozzesi, irlandesi e gallesi. Discorso pre Brexit, ovvio. Quanto alla musica italiana, in buona parte dell’Europa dell’est è legata alla tradizione melodica, quella sì apprezzatissima. Con il karma gabbaniano abbiamo sfidato sul loro stesso terreno le inarrivabili canzonette pop-folk di artisti sconosciuti in Italia quanto lo è Gabbani all’estero. Tanto vale spendere un gettone per l’epic sax guy moldavo (che infatti è arrivato prima di noi).
In fin dei conti, la canzone portoghese è stata una delle poche capaci di stimolare qualcosa di diverso dall’orecchio. Ma vallo a spiegare ai commentatori italiani del festival, quasi indignati nell’apprendere che persino la giuria di San Marino ha deciso di votare una canzone non italiana. Questo tentativo di trasformare una rassegna di canzoni in un incontro di calcio lo trovo parecchio stupido. Perché la musica non conosce confini. Tantomeno bandiere.
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