Avevo 22 anni quando l’elicottero Volpe 132 cadde nelle acque di Capo Ferrato, trascinando con sé le vite dei finanzieri Fabrizio Sedda e Gianfranco Deriu. Oggi ne ho 48, ma mi pongo le stesse domande di allora: ventisei anni non sono bastati a risolvere il mistero, a spiegare i perché di quel disastro, la perdita di due vite umane e i troppi punti oscuri di una storia rimasta irrisolta e con un’inchiesta ancora aperta. Perché parlo oggi di fatti avvenuti il 2 marzo del 1994, senza che ci sia alcuno sviluppo particolare della vicenda? Potrei cavarmela spiegando che ieri ho visto il documentario-inchiesta “La volpe e il grano”, realizzato dal giornalista Vincenzo Guerrizio e dal regista Raffaele Manco. Un’ora e venti in cui, ricostruiti i fatti e intervistate le persone coinvolte, si chiede conto dei tanti aspetti controversi che hanno ostacolato l’indagine. Da quel documentario è tratta l’immagine di questo post, che ritrae il testimone Giovanni Utzeri. Ma la ragione più profonda è che non bisogna mai stancarsi di chiedere verità e giustizia, anche in un momento come questo. Anche in un momento in cui le nostre esistenze sono unicamente concentrate sulla sopravvivenza e tutto il resto appare secondario o superfluo. Gianfranco Deriu e Fabrizio Sedda, piloti della Guardia di Finanza, morirono durante un banale volo di ricognizione partito da Cagliari, nel tardo pomeriggio di quel 2 marzo 1994. Sarebbero dovuti arrivare a Capo Carbonara, ma il ritrovamento dei resti dell’elicottero e le testimonianze di quattro persone dimostrano che il Volpe 132 si era spinto molto più a nord, fin quasi all’altezza di San Priamo. Su quell’inspiegabile cambio di programma nulla può chiarire la motovedetta della Guardia di Finanza, che avrebbe dovuto seguire via mare la ricognizione dell’elicottero: le comunicazioni si interruppero per un’ora e in quel lasso di tempo avvenne l’incidente. Nell’inchiesta ufficiale, però, delle quattro testimonianze non si tiene granché conto, compresa quella di Giovanni Utzeri, che affermò, confermo e dichiarò di aver visto e sentito un’esplosione in cielo, quella notte. Ufficialmente, non viene considerata neppure la presenza di una nave ormeggiata a breve distanza dalla costa di Capo Ferrato, anche questa vista da diversi testimoni, misteriosamente scomparsa la mattina dopo l’incidente. Quella nave potrebbe essere la Lucina, un mercantile poi tornato al centro delle cronache per l’eccidio dell’equipaggio nel porto algerino di Jenjen, solo quattro mesi dopo. Tutti indizi che non hanno portato a nulla di risolutivo.
Ventisei anni dopo, resta il nostro dovere di sardi e cittadini: chiedere verità e giustizia per Fabrizio e Gianfranco. Sì, anche oggi, anche se l’unica cosa che conta oggi sembra la lotta contro un virus e ogni altro pensiero superfluo, inutile.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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