Che immagini possono evocare le lungaggini della burocrazia, la lentezza cronica della giustizia che vanno ad accanirsi su una popolazione stremata dalla crisi economica? Le risposte a queste domande possono trovare risposte inaspettate. Capita che, allora, l’incubo della chiusura di un’attività e l’ingiustizia della “giustizia” abbiano gli occhi e il sorriso di Massimo Bo, imprenditore titolare di un caseificio condannato a passare da esempio di eccellenza a emblema di una delle tante assurdità della realtà nostrana. Incatenato da due giorni davanti al Tribunale di Sassari per raccontare, a chi glielo chiede, la sua storia, senza gridare.
Come Luigi Furini, che nel suo “Volevo solo vendere la pizza” denunciava le assurdità della burocrazia italiana, Massimo dice che voleva solo lavorare. Racconta quasi volentieri ma per farlo si siede sugli scalini. Anche se è un’estate quasi senza sole e caldo, sono più di ventiquattro ore che non mangia e non beve. E sono ben 12 anni di vita e attività imprenditoriale perduti nella girandola impazzita di cavilli, errori, ricorsi in appello, archiviazioni, prescrizioni; parole che nelle pagine fredde dei codici non significano nulla ma che associate alla storia di un uomo, arrivano a dire tanto.
Nel 2002 un’ispezione rileva delle imprecisioni nei documenti di un macchinario vendutogli da un’impresa. Tradotto nel linguaggio umano, nonostante una momentanea risoluzione, Massimo perde un anno di produzione.
Altri sei anni se ne vanno per la causa che decide di intraprendere contro l’impresa che quel macchinario con la documentazione non in regola gliel’ha venduto. Eccole che compaiono le famigerate espressioni della burocrazia giuridica: archiviazione in sede penale “perché il fatto è civilmente rilevante”. Anche se in seconda sede alla falsificazione del documento è riconosciuta valenza penale, è passato troppo tempo. Quindi, prescrizione.
Ci si mettono il consorzio ASI, contro cui sporge denuncia per l’inquinamento dell’acqua a Porto Torres che lo costringe ad un’altra chiusura e ad un’altra archiviazione. Non manca nemmeno la ASL. Altra ispezione per della muffa sui muri, nonostante dichiari che pochissimi mesi prima fosse stata intrapresa un’operazione di disinfestazione. Altra chiusura. La spirale non si arresta: niente lavoro, niente soldi, niente finanziamenti dalle banche. Nemmeno niente più famiglia e dignità.
Alcune signore di mezza età ascoltano anch’esse. Gli fanno gli auguri e gli dicono che passeranno a trovarlo ancora; ascoltano alcuni funzionari che verso sera lasciano il tribunale, così come i ragazzini che gironzolano annoiati facendo su e giù tra piazza Castello e via Roma sotto il cielo autunnale di questa fine di Luglio.
Massimo saluta e ringrazia. Con un sorriso, nonostante tutto.
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