Da bambino volevo essere Mauro Forghieri. Ero morbosamente affascinato dalla capacità di trasformare in materia rombante il tratto di una matita nato su un tavolo da disegno, dal potere di convertire in un bolide da trecento chilometri all’ora le idee raccolte nei suoi scarabocchi.Era una favola, ma meglio di una favola: era reale, le Ferrari da corsa potevi toccarle oppure vederle sfrecciare in televisione.Tutto iniziato da un tratto di lapis e da tanti calcoli.
Non era solo questione di far andare più veloce che si potesse un’auto da corsa, impresa già difficile per conto suo.L’ingegner Mauro Forghieri è mancato un paio di giorni fa, a 87 anni. Per chi è stato appassionato di automobilismo, è stato un mito.Era testa e mani di un sogno diverso, tutto italiano e tutto rosso Maranello.Era il tecnico, scelto giovanissimo da quel tiranno che era Enzo Ferrari, capace di disegnare con la sua matita una formula 1 nella sua interezza, facendola spingere da un motore da lui progettato, installato su un telaio in bilico su sospensioni anch’essi firmati dallo stesso tecnico.Per questo ne ero affascinato.
Mauro Forghieri era il genio rinascimentale nell’era dei motori a scoppio e dell’ossessione per la velocità.Era il ragazzo modenese cui, per tanti anni, Ferrari ha affidato la sua missione: vincere. Ma vincere non alla maniera dei costruttori inglesi, per il Drake solo “assemblatori” abituati a mettere assieme le monoposto raccogliendo i pezzi da fornitori diversi.Vincere in Ferrari significava, per il vecchio Enzo, vincere costruendo completamente una vettura, in tutte le sue componenti.Forghieri questo lo sapeva fare meglio di altri e da questa sua polivalenza nacque tutta la serie delle magnifiche Ferrari 312. Ma sapeva anche andare in giro per il mondo, durante i gran premi, e imporsi alla personalità debordante di piloti come Jackie Ickx, Niki Lauda, Clay Ragazzoni, Gilles Villeneuve, Jody Scheckter.
Poi è iniziata l’era dei computer e delle specializzazioni e il tempo di Forghieri tra tavolo da disegno e pista è scaduto.Per tanto tempo ho pensato che essere appassionato di automobilismo sportivo fosse una debolezza, una giovanile perdita di tempo.Con gli anni, invece, mi sono convinto che sia stata una delle passioni più serie e spontanee della mia vita e che gli ingegneri, penso a Forghieri ma anche a Luca Tomaini e Nicola Materazzi, anche lui mancato di recente, fossero dei veri artisti, animati da una furia futurista, dall’ossessione di spingersi sempre più oltre con le prestazioni delle loro creature.Materazzi, scienziato ma anche raffinato uomo di lettere, progettò la Ferrari F40 e la Lancia Stratos, due monumenti della produzione automobilistica sportiva.Forghieri era il mito, ma con una spassosa capacità di raccontare, da vero emiliano.Sul canale youtube di Davide Cironi trovate le sue ultime, bellissime interviste. Sono anch’esse documenti storici, nitide fotografie della convulsa epoca della velocità.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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