Quanto doveva essere doloroso per una dodicenne entrare in quella classe se l’alternativa di lanciarsi dalla finestra era diventata l’unica soluzione per evitarlo?
Quanta rabbia sedimentata e imbavagliata racchiude una lettera che dice ai compagni “siete contenti adesso?”
“Non c’era alcun segnale che lasciasse presagire quanto accaduto, siamo sconvolti” ha affermato la dirigente della scuola media di Pordenone.
No, io non ci credo!
I bulli sono guardinghi, cercano di non farsi cogliere in fallo… è vero! Alcuni insegnanti fanno poche ore di lezione in una classe, è probabile che non abbiano avuto tempo e occasione per accorgersi. Ma è pensabile che in un intero consiglio di classe, composto da oltre dieci docenti, nessuno abbia mai avvertito puzza di bruciato e chiesto riscontro ai colleghi?
Le vittime sono guardinghe, si vergognano e hanno timore di parlare… è vero! In alcune famiglie i problemi sono tanti e opprimenti, è possibile che l’attenzione fosse focalizzata su altri grattacapi. Ma è pensabile che una ragazzina, arrivata ormai allo sfinimento e alla disperazione, non abbia mai lanciato alcun segnale in casa?
Siamo colpevoli noi docenti, siete colpevoli voi genitori.
E allora diciamocelo che quelle dinamiche del bullismo, bastarde e fetenti, ci sono sfuggite. Che non abbiamo prestato abbastanza attenzione. Che il nostro sguardo era distratto, rivolto altrove e quando ha osservato è stato abbastanza superficiale e frettoloso da non vedere. Che non siamo sufficientemente preparati per affrontare un fenomeno la cui gestione non può essere lasciata all’improvvisazione o alla buona volontà del singolo. Che se vostro figlio/a è uno stronzo/a e si diverte a deridere, a tormentare e prendere in giro i compagni lo sapete anche voi. E forse, in qualche caso, quei modelli glieli avete forniti in famiglia. Che esprimendo giudizi sulle fragilità di Tizio o sulla debolezza di Caio davanti ai ragazzini seminiamo il germe del bullismo. Che siamo un po’ tutti responsabili di quei soprusi e derisioni che cominciano a scuola e non si fermano quando suona la campanella dell’uscita, no. Continuano su Facebook, su Whatsapp, corrono sul filo dei social e assumono proporzioni devastanti, senza lasciare un attimo di respiro alla vittima. Che dietro ogni valutazione scolpita con l’accetta c’è del bullismo in embrione. Che i corsi di aggiornamento sulla gestione del gruppo dovrebbero essere obbligatori, assidui e reiterati per gli insegnanti. Che occorrerebbe in ogni istituto scolastico una figura specializzata per la mediazione dei conflitti a cui rivolgersi in caso di necessità. Che dovremmo distogliere lo sguardo dalle nostre incombenze per posarlo su una gioventù che ha disperatamente bisogno di un occhio vigile e scrupoloso. Che le fragilità vanno protette e valorizzate.
Diciamocele queste cose, senza concederci sconti ed evitando di autoassolverci, perché una piccola spinta alla dodicenne che si è lanciata nel vuoto l’abbiamo data anche noi. E se non siamo in grado di prenderne coscienza per porvi rimedio, la daremo anche al prossimo ragazzino che in quello stesso vuoto si lancerà domani. Un vuoto che noi non abbiamo saputo colmare, nostro malgrado. Diciamocelo una volta per tutte.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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