Alcuni parlamentari del Pd hanno presentato una proposta per l’accorpamento dei Comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti. Tutti quei centri che non raggiungono questa soglia, andranno sommati l’un l’altro e da tanti Comuni se ne farà uno solo.
Meno indennità, meno strutture, meno finanziamenti, semplificazione e risparmio, questa la filosofia della riforma. Per la Sardegna, la cui popolazione è principalmente composta da minuscole unità amministrative, sarebbe una rivoluzione.
Cercando negli archivi, ho visto che questa proposta galleggia tra le forze politiche da diversi anni. Prima del Pd, piaceva anche al centrodestra e persino ai Cinquestelle. Ho letto anche dei calcoli sul possibile risparmio per le casse dello Stato: sproporzionato rispetto all’entità dei tagli e ai disagi che i cittadini dovrebbero subire.
Secondo me, oltre alla valutazione di stretta natura ragionieristica, questa tentazione rivela ancora una volta la ben nota avversione di una certa classe dirigente verso tutto ciò che è vecchio o affonda le sue radici nella storia. Un approccio casualmente illuminista, tenendo presente che non tutto quel che il secolo dei Lumi ha portato è stato edificante.
Ogni piccolo Comune, in Sardegna e in Italia, ha un proprio patrimonio identitario da salvaguardare. Suo e solo suo, costituito da figure storiche di riferimento, da date stampate nella memoria del luogo, da celebrazioni rituali. Ogni Comunità che abbia raggiunto l’autonomia lo ha fatto dopo una presa di coscienza dal basso, ha acquisito la consapevolezza dell’autodeterminazione, ha individuato i propri leader e ha sopportato sacrifici e sconfitte.
Si può cancellare tutto questo con una riforma tracciata con una squadra da geometra? Il mio Comune, Arzachena, aveva un migliaio di abitanti quando divenne autonomo, nel 1922. Faceva capo a Tempio Pausania, che dista quaranta chilometri. Le distanze sono misure relative: i quaranta chilometri di un secolo fa li si copriva con una giornata di cammino per andarci ed un’altra per tornarsene a casa, col rischio concreto di agguati e dei fiumi in piena, spesso solo per ottenere un certificato o una licenza o – il colmo – per pagare le tasse di servizi inesistenti. Il mio Comune condusse e vinse la sua battaglia per l’autonomia per questi motivi e poco importa se, oggi, da Arzachena a Tempio ci si arriva in mezzora d’auto. Certe conquiste sono consolidate e non è pensabile una marcia indietro. Tanti altri Comuni hanno storie simili da raccontare e difendere. Ricchezze troppo preziose perché quattro ragionieri con una tessera di partito in tasca decidano di cancellarle.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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