Siamo vissuti in tempo di complotti e servizi segreti deviati. Giochetti che – lo abbiamo imparato con il tempo – erano utilizzati dal potere per nascondere, insabbiare, modificare e centrifugare la verità. C’è stato il tempo dello scandalo Sifar, quello della Loocked, del sequestro Moro, della strage di Piazza Fontana e di Bologna. C’è stato anche un depistaggio internazionale legato alla morte del banchiere Calvi. Siamo vissuti in un tempo dove nei posti di potere c’erano uomini iscritti alla loggia massonica P2 di Licio Gelli e da quei posti hanno potuto cambiare il corso di molti eventi. Siamo entrati in rotta di collisione con le frange del terrorismo politico, abbiamo pensato, riflettuto, immaginato che dietro le brigate rosse ci fosse un altro disegno – il grande vecchio lo chiamammo – e abbiamo pensato che rubassero le 128 Fiat per dare uno schiaffo al potere rappresentato da Agnelli fino a scoprire, attraverso la testimonianza di Patrizio Peci, che quell’auto aveva un bagagliaio comodo ed era facile passare inosservati. Insomma, con i complotti siamo cresciuti e ci abbiamo convissuto. Siamo sempre stati sospettosi, non ci siamo mai fidati del tutto della nostra classe politica – e molte volte a ragione – né delle banche e dei commercianti, abbiamo nutrito più di un dubbio su certe scelte della chiesa e abbiamo anche pensato ad un complotto che, nel 1978, dopo appena 33 giorni, fece fuori Papa Giovanni Paolo I. Non ci siamo mai fidati dei giornalisti e di quello che ci raccontavano anche se, con le nuove bufale costruite nel mondo virtuale, ci siamo parzialmente ricreduti. Ci sono stati però nel corso degli anni dei punti fermi, pilastri che abbiamo messo a fondamento dello Stato e che ci ha fatto continuare a sopravvivere. Era quello che Enzo Biagi chiamava effetto del lattaio: il paese funziona perché miracolosamente ogni giorno le serrande si alzano, si panifica, si munge, si spazzano le strade, c’è il farmacista che dispensa consigli, ci sono i carabinieri e c’è la magistratura. Di qualcosa, insomma, ci dobbiamo pur fidare. Invece, a quanto pare si sta delineando un pasticcio che coinvolge una delle nostre certezze: l’arma dei carabinieri. Il clima è surreale e ci riporta indietro di moltissimi anni. Non siamo chiaramente all’interno di uomini dell’arma che pensano ad un colpo di Stato ma c’è qualcosa che stride, che non ritorna e che pone qualche piccolo interrogativo. Ci troviamo davanti ad un paradosso: non è il potere che da sempre ha utilizzato il depistaggio e i servizi segreti per modificare gli assetti o per garantirsi l’impunità, ma è chi controlla il potere a voler modificare, attraverso l’uso del falso indizio, i fatti attaccando addirittura la presidenza del consiglio rappresentata da Matteo Renzi. Ora, al di la delle verifiche che andranno eventualmente e rigorosamente effettuate, la storia del capitano dei carabinieri che modifica il senso delle intercettazioni appare una goffa storia da prima repubblica e improponibile in un tempo dove, per fortuna, la tecnologia non permette più il semplice “copia e incolla” e non esiste più, dal 1989, un processo squisitamente inquisitorio ma è necessario l’onere della prova. E’ dunque molto preoccupante che si creino artificialmente prove per incastrare un politico ed è inquietante che a farlo siano degli appartenenti a quell’arma che, da sempre, rappresenta l’orgoglio e la lealtà del nostro paese. Occorre da subito fare chiarezza, sgombrare il campo dagli equivoci. Non possiamo permetterci ombre e sospetti e non possiamo permetterci un clima avvelenato in questo periodo storico piuttosto complesso. Non ci servono i complotti. Ma solo verità.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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