Ci sono trappole che ancora non capisco. La morte è una di queste. La morte di persone che sono state il pilastro di qualcosa, men che meno. Vittorio aveva l’età di mio padre, classe 1935, e nelle foto in cui c’è mio padre, spesso c’è anche lui. Insieme a molti altri di cui potrei dirvi le stesse cose che sto per dire ora, loro due sono stati ragazzi, giovani, padri e nonni insieme. La faccia di Vittorio era come un albero di natale, come un campanile: la vedevo e immediatamente mi si faceva presente il mondo in cui sono cresciuto.
Era un muratore, un piccolo impresario come ce ne sono stati migliaia in Sardegna. Come molti muratori che hanno visto almeno una guerra, aveva un modo di parlare che a me ricordava il gesto di farsi rotolare nella mano una pietra, pesante e grande quanto la mano stessa. Avete presente quella capacità degli anziani e soprattutto degli artigiani anziani, di mettere in piedi frasi perfettamente equilibrate, come se stessero tirando su un muro a secco, che se non è in equilibrio viene giù al primo nonnulla? Ecco, Vittorio parlava così, sentivi il peso delle parole, e le cose che nominava le vedevi come se fossero lì.
Era una persona normale, e ne parlo solo per una specie di vezzo affettuoso. Una persona talmente normale che… no, ora che ci penso, sulla stampa locale ci era finito senza bisogno del sottoscritto. E con merito, direi. C’era finito perché, una volta andato in pensione, non era riuscito a smettere di lavorare e allora si era dedicato a modo suo al volontariato. Si era preso cura di alcune zone dell’isola e aveva mosso mari e monti per recuperare l’occorrente per renderle più accoglienti. C’era un’aiuola spartitraffico vicino a casa sua. Dopo l’inizio della mission, si era trasformata da corpo cementizio con funzioni segnaletiche ad angolo verde che lui personalmente innaffiava e ripuliva dopo averlo riempito di piante.
Ma la cosa spettacolare l’aveva fatta fuori città. Se venite a La Maddalena e uscite dal paese in direzione nord-est, diretti verso la spiaggia di Spalmatore, a un certo punto della strada panoramica troverete, sulla sinistra, al termine di un lungo rettilineo in salita, uno spiazzo con al centro una statua della Madonna. È un piccolo luogo di pellegrinaggio, come ce ne sono tanti. Vittorio, visto che la campagna circostante è bella ma il bordo strada lascia a desiderare, aveva messo in croce il Parco, il Comune e la Marina Militare, aveva coinvolto le scuole e aveva realizzato, insieme ai ragazzi, la piantumazione di 600 oleandri. Io per anni ho fatto il giardiniere, ma non credo di aver piantato un numero di oleandri così alto. In ogni caso, anche se l’avessi fatto, a lui sono bastati pochi giorni per riuscirci. Ho sempre considerato questa come una piccola (grande) lezione su come si fanno le cose. La cosa interessante è che per un po’ di tempo, non essendoci un impianto di irrigazione, Vittorio quegli oleandri se li è anche innaffiati portandosi l’acqua dentro un serbatoio, legato sul cassone dell’Ape.
Se n’è andato ieri, Vittorio. Attorno alla sua bara, e in chiesa, e alla processione, ho visto molte facce come la sua. Una processione di campanili, di alberi di natale, di simboli che resistono al tempo come possono, lo ha accompagnato fin su al cimitero. Io no. Ho dovuto andarmene prima perché avevo da fare, come tutti i giorni, una marea di cose consuete.
Sono semi, queste cose consuete. E ci consuma la fatica di piantarli, a volte. Credo che Vittorio questa cosa, da bravo padre quale era, l’avesse capita bene. Per quello ogni tanto prendeva fiato, e tra una fatica quotidiana e l’altra ripuliva un’aiuola, o piantava lungo la strada panoramica 600 oleandri, e li annaffiava, e li potava, e li guardava crescere, gratis.
Sono sempre più convinto che dopo la nostra morte non ci sia un qualcosa che aspetta “noi”, ma che tutto finisca con quell’ultimo respiro. Però, quando penso a quelli che ho conosciuto e a cui ho voluto bene, come Vittorio, mi viene da pensare che sia un peccato.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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