Una rondine non farà primavera, ma…
Immediatamente dopo la tragedia all’alba ad Orune, la piega dei vari commenti ed articoli è montata -come mille altre volte simile ad una colonia di tarli che dilaga- esattamente sugli stessi pregiudizi e luoghi comuni di sempre, offrendo così un’ottima overture all’ennesima stagione di autoflagellazione e sensi di colpa in sarda salsa.
E’ inutile, quel tarlo ormai lo abbiamo, o meglio, lo hanno in molti, troppi, ed ogni volta viene fuori, nudo, a scavare nel peggio dell’autodistruzione, dell’autocommiserazione e della penitenza. Quel tarlo è la visione che, dell’interno della nostra isola, in molti si sono lasciati costruire addosso, per decenni se non per secoli. Ed è un tarlo strano, che non viene fuori, per esempio, se il delitto efferato accade in città, chissà perché?! Se uno squilibrato del quartiere X di una X città fa fuori una vecchietta, nessuno l’indomani pensa che X siano un quartiere (ghetti a parte), una città di assassini dediti al malaffare e malviventi, che vi sia ad X una cultura dominante vasta almeno quanto l’efferatezza stessa dell’omicidio, no. Si parla e si pensa ad un solo assassino, ad un solo elemento più eventuali complici, evidentemente tarati di quella società e se ne distingue la restante parte. Questo non avviene invece, se il delitto è perpetrato in Barbagia, in una qualsiasi delle Barbagie ma anche nella stessa Nuoro, che delle Barbagie è “capitale”, ricondurre a questioni agropastorali e/o malavitoso/etniche un omicidio non è poi così raro, salvo poi scoprire, quasi sempre, che a molti fatti corrispondono questioni molto più politiche che altro, ma questo è un discorso lungo che affronteremo, spero, presto in seguito.
Fateci caso, più le indagini proseguono e più la figura dei possibili assassini si allontana da Orune, ma quel tarlo è sopito, non domo. Resta lì, pronto a saltare fuori se non questa la prossima volta, a sussurrare alle vostre coscienze che in fin dei conti il “Male” e “la vendetta” siano le culture più diffuse e radicate in quella parte di Sardegna, perché così ce l’hanno sempre presentata, raccontata. Perché i fatti di sangue e di delinquenza hanno sempre riempito le prime pagine più del lavoro e della onestà, della pazienza e della dignità di tutto il restante popolo barbaricino, della sua grande maggioranza. Abbinare la figura trasandata, sporca, scavata del pastore a quella del delinquente è stato un passo facile, sempre e per tutti, lo raccontava bene Enrico Costa quando parlava di Orgosolo e spiegava ancora meglio da cosa nascesse, in fondo, la giustificata paura, spesso terrore, di quella che chiamavano e chiamiamo tuttora “Zustissia”.
Sentire una criminologa blaterare di “biologica predisposizione alla violenza” su un canale televisivo nazionale, massimalista più ed oltre di quanto possa esserlo, negativamente, il termine, l’ho trovato di una violenza e di una ignoranza inaudite. Attraverso un fatto di cronaca isolato, perché la statistica parla di fatti assolutamente sporadici rispetto ad altre zone d’Italia, questa sapientona del crimine stabilisce che i sardi-barbaricini (perché alla fine quello è il nucleo etnico a cui si riferisce) presentino in massa “turbe comportamentali di predisposizione alla violenza”, generalizzando e banalizzando secoli di letteratura e di cultura che mostrano ben altro, per quanto si siano tenuti a lungo nascosti e si cerchi ancora di obnubilarli. A volte l’omertà servirebbe e sarebbe auspicabile, ma da parte di certa scienza e di certi commentatori. E se di come ci vedono può importarmi relativamente, quello che ferisce davvero è il come ci vediamo noi, come ci raccontiamo noi pensando che, se sei nato in città, certe violenze non ti appartengano mentre in un paese devono ricadere su tutti, guardando attraverso gli occhi ed i paraocchi di altri.
Contro questo genere di tarlo, l’unico antidoto che conosco è quello della frequenza, dell’andarci in questi paesi, visitarli più volte è possibile e non fermarsi al formale, ma di cercare di conoscere in questi posti più persone, respirarne l’aria e i rumori fra i tzilleri, le case, sos cuìles e le piazze, non solo alle “feste comandate”, per scoprire quanto quella violenza che spacciano per diffusa e dominante sia invece circoscritta e deprecata, vissuta come un’onta. Per accorgerci di quanto quei mostri che temiamo siano temuti e combattuti più e meglio di noi da chi in mezzo ci deve vivere, ma che siano anche molti meno di quanti ce ne fanno vedere e raccontano.
E quando accadranno altri fatti, fatti dove il nome di questo o quell’altro paese della Barbagia verranno abbinati ancora una volta al sangue e ad altri miti, tutti quei visi e quelle storie, tutta quella Cultura, molto probabilmente vi torneranno in mente.
E per quel tarlo non ci sarà più posto.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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