Non ne possiamo più del toto-voto, dei sondaggi, della possibilità che nessuno vincerà e tutti vinceranno. Lo sapevano, maledizione, lo sapevano che si andava ad impattare e adesso quella legge elettorale diventerà peggio del Porcellum: nessuno ne rivendicherà la maternità (che paternità non si dice, per carità) e tutti diranno che l’avevano detto. Ecco, partiamo da questo punto: anziché dirlo la prossima volta state zitti e scrivetela meglio questa benedetta norma. E’ da anni che non ci sono leggi semplici. E’ un fiorire di rimandi, di bis, ter, quater e chi più ne ha più ne metta. Non c’è una legge, non una, che non abbia un rimando ad altra norma, ad altro comma previsto dall’articolo del comma richiamato dal decreto e dal dpcm ecc. ecc. Non bisogna abrogare le 400 leggi. Occorreva non scriverle o scriverle meglio. Il problema di questo paese è che la legge deve sempre, ma sempre, accontentare chiunque: deve dire e non dire, strizzare l’occhio e non strizzarlo, contenere e concedere, mantenere e distruggere. Le nostre leggi nascono sempre con questa precisa domanda: come possiamo aggirarle? Ecco, a questo siamo arrivati. Siamo qui, con la matita in mano, la scheda elettorale tra le dita e con un dubbio enorme: perché votiamo, visto che parrebbe inutile? Non lo è, certo. Votare è il sale (o il sole) della democrazia. Però, anche se non sono un complottista, mi sa che andiamo ad impattare e nessuno vince. Forse perché nessuno, in fondo, vuole governare davvero questo strano paese.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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