C’è una stradina, dietro il mio studio, che credo si chiami Vicolo del Fiore. È esposta a nord, e non ci batte mai il sole, tanto che l’acciottolato posato solo da qualche anno presenta in alcuni punti delle efflorescenze verdastre, una sorta di muschio perenne. Qualcuno dei residenti ha pensato di ravvivare un po’ il vicolo con una mano di pittura color prugna acceso, giusto intorno alle sue finestre, col solo risultato di scacciare i gatti, che infatti si sono accomodati in un garage, forse un vecchio laboratorio artigianale abbandonato da molti anni, proprio nell’angolo opposto. Qualcun altro, evidentemente esasperato, ha scritto a pennello sul muro della sua casa: “Vietato parcheggiare le macchine davanti alla mia finestra”. In effetti, non sembra neanche possibile che riesca a passarci, tanto è stretto, una macchina, figuriamoci parcheggiarci. Insomma, un vicolo del centro come tanti. C’è un motorino un po’ sgangherato, parcheggiato di sbieco sempre nello stesso posto, e ci dev’essere un signore che abita nella scala a fianco – me l’immagino un po’ anziano- di quelli fanatici degli abbonamenti alle riviste, che ne riceve così tante che il postino non riesce ad infilargliele tutte nella cassetta, e finiscono spesso in terra disordinatamente. Quando piove all’improvviso, diventano un mucchietto colorato che sembra un avanzo di stoffa di qualcosa. Quando passo li’, di fretta, la mattina, o la sera tardi, ancor più di fretta, vedo anche un portone bianco, a due ante, con una tendina leggera traforata su una sola anta, con al lato un vecchio condizionatore appeso al muro, che rimane sempre un po’ socchiuso. Non ha finestre accanto. Da li’, evidentemente, passa sia l’aria che la luce. Rimane socchiuso anche d’inverno, col freddo e se tira vento. Al piano di sopra, c’è un’unica finestra, senza scurini, dove ho notato essere appesa l’altra metà della tendina. Oggi per la prima volta ho visto uscire dal quel portone bianco un ragazzo di colore, mentre un altro scopava la porzione di pavimento davanti alla porta. Prendendo i panni da una bacinella blu, li stendeva sullo stenditoio posato al lato della strada. Lo faceva con una certa perizia e l’accuratezza di movimenti esperti: una maglietta bianca, un paio di jeans, un asciugamano. Entrambi hanno sollevato lo sguardo, interrotto le loro faccende, mi hanno sorriso, in silenzio. Ho risposto al sorriso e ho svoltato l’angolo. Per più di qualche metro mi ha inseguito il buon profumo di fiori dei loro panni puliti, che mi è sembrato più intenso e più dolce di quello di altri panni, raggiunti però dal sole, che sventolavano sulla mia testa, ma un poco più in la’. Mi dev’essere rimasto a lungo il sorriso sul viso, al quel pensiero, ma sono quasi sicura che a parte i gatti immobili e composti, che hanno seguito con sguardo fisso il mio passaggio veloce, non mi abbia visto nessuno.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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