Per me, sin da quando ero piccolo, Via Roma ha rappresentato il nome magico, quasi iconico di una Cagliari lontana, nello spazio e nel tempo, storica, appartenente a quella soglia della memoria sempre pronta a soccorrerti quando hai un disperato bisogno di ricostituire un’identità incerta, come per me, ragazzo di periferia, figlio di una napoletana e di un sassarese, nato in periferia tra i mandorli di via dei Donoratico e gli ulivi di via dei Giudicati, per cui l’identità era un concetto davvero incerto. Via Roma. Questo toponimo quasi istituzionale, è stato per anni il terminale di passeggiate iniziatiche con i miei piccoli amici di strada, quattro chilometri di paura e fatica alla scoperta di un mondo sconosciuto, esistente prima ancora della nostra nascita, dunque mitico, attraverso piazza della Repubblica, e poi le vetrine di via Alghero e di via Garibaldi, lo scenario rassicurante del Bastione e poi ancora giù in picchiata verso il mare. Via Roma, per me, è sempre coincisa con il luogo di lavoro di mio padre, arrivato nel 1950 da Sassari a Cagliari, dopo aver vinto il Concorso alle Ferrovie, e approdato in quella fabbrica di vita che era allora la Stazione Centrale, prima agli sportelli della biglietteria, dove ingannava con goliardica crudeltà gli ignari viaggiatori, poi in un piccolo, ordinato ufficio dove sempre mi guidava orgoglioso, tra Olivetti Lettera e faldoni polverosi, dove poi sorse una libreria, che ora non c’è più, e fino ai treni in partenza, lontani, o indietro al bar popolare che già c’era e ora c’è ancora, unico totem di un mondo lontano e irreale. La grande strada lungo il mare è la via Roma, con i caffè da una parte, dall’altra i folti ciuffi d’alberi messi tra noi e il mare. In mezzo a questi folti ciuffi d’alberi di fronte al mare si arresta e sosta il piccolo tram a vapore, come un trenino, dopo aver girato attorno alla città. La vita sociale di Cagliari si svolge in via Roma. Compresi i caffè con i tavolini all’aperto da un lato e il lungomare dall’altro, è una via molto ampia, e la sera contiene l’intera città, dice Lawrence nel suo libro sulla Sardegna e su Cagliari, e ha ragione. Via Roma è l’anima della città moderna, soprattutto la sera, quando la gente dimentica il lavoro e si tuffa lungo i tavolini sotto e dietro i vecchi portici. E il nostro bar era proprio il Caffè Roma, dove negli anni Cinquanta mio padre si fermava, terminato il servizio, con i colleghi a sopire quel tarlo di una malinconia nata dalla consapevolezza di una stagione finita, quella della giovinezza, pur tra gli eventi tragici della storia, quando tutti facevano a gara a dirsi che in realtà quello che era mancato loro era stato il sogno, una porzione di vita dove riscattare il faticoso passato, un ultimo sogno prima di capitolare agli imprescindibili doveri della maturità, un profondo, grande sogno dove crescere senza più dolori, con rabbia. Via Roma. Dove negli anni Sessanta mio padre e mia madre giungevano, proprio come me, la sera, dalla piazza deserta al centro delle case popolari volute da Fanfani, verso la folla, che continuava a gonfiarsi, avanti e indietro, avanti e indietro, lenta, verso il mondo, bello o brutto non contava, perché l’intero mondo, l’intera città si dava appuntamento lì, magari prima di andare al cinema, all’Olimpia, come un breve, denso fiume di gente che scorresse lento, massiccio. Nessun traffico di veicoli, quasi: solo un flusso denso e ininterrotto di esseri umani di ogni sorta, tutti appiedati, come doveva essere nelle vie di Roma imperiale, dove nessun carro poteva circolare e l’umanità era tutta a piedi. Via Roma. Dove, a partire dagli anni Settanta mio padre ricuciva il filo della memoria, fino a mia madre e oltre, quando lei ci aveva lasciato, e allora si poteva permettere di parlare anche di Nora, compagna dei primi anni a Cagliari, quando mio padre viveva ancora in quella pensioncina sotto i portici. Nora, conosciuta dopo il Varietà all’Arena Giardino, che sapeva fare soltanto la ballerina, ma che aveva in sé qualcosa di nobile, che l’affrancava, quasi, in ogni gesto dal ruolo che le era stato imposto. Si adagiava, con la sua vestaglia, sul divano sotto la finestra che dava sui portici e si offriva, pienamente cosciente di quel gesto, la mente gettata in un sogno impossibile che non l’avrebbe fatta svegliare nuovamente ballerina o poco più, magari maschera del cinema pochi metri più avanti. Nora, che si muoveva in maniera impercettibilmente frenetica, elegante, l’impertinente ciocca di capelli rossi che le dondolava sul viso lentigginoso, senza dire una parola, quasi teatralmente, verso mio padre, e allora facevano all’amore in un modo nuovo per entrambi, appassionato e giocoso, ma innocente, pulito, stretti in un abbraccio che li svegliava alla luce sferzante del mattino, chini sulle persiane da dove, appena i riflessi del sole illuminavano la nuova vita sotto i portici, osservavano un mescolìo d’uomini, donne, ragazzi, ragazze, bambini, perché, come diceva Claude Schmitt, il grande storico francese innamorato della nostra isola, a differenza della rue de Rivoli, che è una strada dove si passa, via Roma è una strada dove si passeggia, e nel giro di un’ora, stando seduto allo stesso posto, vedi passare e ripassare molte volte gli stessi visi. Via Roma, anche a Capodanno, persino a Capodanno, prima che mio padre ci lasciasse, continuava a essere il terminale dei nostri sogni, tanto che dovevamo arrivare sino al Porto per salutare pienamente l’anno che andava via. Il tramonto, sazio di luci, si scioglieva in mille fiocchi di rosso sulle rocce stizzose; il mare, avvinto dal terrore, non rischiava un’onda, e lì attendevamo lo scoppio dei primi petardi, temerariamente, prima di rivolgerci verso casa a passi lenti come in un gesto di placida sfida nei confronti del mondo esterno, un mondo, in fondo, rappresentato proprio da via Roma, luogo di partenze e di arrivi, di lunghi cortei, rabbiosi o festosi, luogo dove alfine sono andato a vivere, all’alba del nuovo millennio, forse casualmente, dopo aver venduto la casa di San Benedetto, o forse proprio perché, ormai, rappresentava la strada principale del mio animo.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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