Marco mi incontrò alla ricreazione e mi disse: “Dobbiamo fare qualcosa”. Alla mia faccia interrogativa aggiunse: “Stanotte scriviamo sui muri Almirante boia”. “Non mi sembra una grande idea”, dissi sottovoce. “E perché?” “Perché lui non si merita il nome su un muro”. Quella frase e nessun’altra frase fu scritta dalle mie mani sui muri della città di Alghero. Eravamo alla fine degli anni settanta, l’ideologia era la nostra religione e Almirante rappresentava il rigurgito fascista. Poi siamo cresciuti, ci siamo evoluti e molti di quelli che avrebbero utilizzato le bombolette rosse per scrivere qualcosa li ho visti con Jaguar d’ordinanza e stemmino di Forza Italia sulla giacca Burberry ma questo, forse, è un altro discorso. Quando ho saputo che a Roma – a Roma, mica a Senigallia o a Quartucciu, a Roma – il consiglio comunale aveva votato per titolare una via a Giorgio Almirante mi son ricordato di quello che avevo detto a Marco nel 1979, dentro i miei vent’anni: “Quell’uomo non si merita il nome sul muro”. Ho riflettuto sugli anni che sono trascorsi, sulle lotte alla ricerca di un futuro da costruire dove tutti eravamo convinti di essere dalla parte giusta della storia: chi, come me a sinistra e chi, invece, come Franca, una compagna di scuola, con Giorgio Almirante. Grandi discussioni in classe durante l’ora di religione, unico luogo di decompressione delle idee, grazie ad un prete decisamente molto aperto al dialogo. Mi ricordo le urla in classe e poi fuori, durante la ricreazione tra le mie sigarette proletarie (MS e Nazionali senza filtro) e quelle dei fascisti come Franca (Marlboro e Muratti). Almirante era al centro dei nostri pensieri: rappresentava il male assoluto, il fascista in doppiopetto, il furbo che si era rifatto un’immagine mantenendo l’anima nera del repubblichino. Non ha mai abiurato il fascismo e nel corso degli anni forse si è furbescamente ammorbidito ma è rimasto con le idee del vecchio redattore del Manifesto per la razza. Un razzista puro. Volevano dedicargli una via in quella Roma vittima dei rastrellamenti nazifascisti. Roma città aperta ma non ai fascisti e neppure a quelli in doppiopetto. Mi è dispiaciuto che nessuno si sia alzato per urlare il proprio dissenso, a gridare forte il no a questo scempio. Siamo da tempo senza più memoria, abbiamo barattato tutto, anche la nostra storia, ma rimango freddamente lucido e dico, senza nessun tentennamento: Almirante non merita nessuna scritta sui muri, figuriamoci la titolazione di una via. Siamo seri e rispettiamo la lotta dei partigiani. Forse è solo una questione di principio ma io, in una città dove c’è una vita titolata a Giorgio Almirante, ci vivrei molto male.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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