“Cosa metteresti Abdul in questo presepe?”Abdul non aveva molta voglia di rispondere. Non era la sua festa e, comunque, non c’era nulla da festeggiare. Era in carcere, lontano da sua madre, dai suoi affetti. La storia del presepe non lo riguardava. Eppure quell’uomo vestito di nero insistette. Non solo con Abdul, ma anche con Markovic, con Ederern e tanti altri. Si misero di impegno nella cappella di quel carcere. Mischiarono molte cose ed ognuno portò qualcosa. Ed ecco che la domenica tutti i detenuti si riunirono davanti a quello strano presepe cantando, insieme “tu scendi dalle stelle”, mano nella mano. Nel presepe, oltre alla classica capanna del bue e dell’asinello e le varie statuine c’erano, in ordine sparso: una poesia dedicata alla madre che viveva a Malaga e che non sapeva di suo figlio detenuto; un collana di Fatima, la figlia di Abdullah; l’estratto della sentenza di Marco, un ragazzo siciliano in attesa della revisione del processo; un disegno con un sole, un bambino e tante cose scritte in arabo; una ciocca di capelli di un bambino non conosciuto e non abbracciato perché nato quando Mavelic era in carcere; la corda di una chitarra di Bardacu, un rumeno che aspettava di essere autorizzato a suonare il suo strumento una musicassetta di canzoni arabe; il poster di Giuni Russo e quello della Nazionale del Brasile; il quaderno di Antonello con le poesie tutte dedicate a Marta che non veniva più a trovarlo; un pacco di sigarette vuote di Marcel perchè voleva smettere di fumare; tante piccole fotografie di bambini e di donne: i loro figli e le loro compagni, amanti, mogli. Una foglia di acero raccolta nel cortile del carcere; una pagina del vangelo, quella relativa al discorso sulle beatitudini; la foto di Sereneku in bicicletta sul ponte delle catene, a Budapest; il tappo di una bottiglia di birra. Uno striscione dietro la capanna che diceva: “Il carcere è un presepe con Gesù che viene a trovarci e non ci chiede di che religione siamo”. Ecco, cantando a squarciagola “tu scendi dalle stelle” al cappellano scesero le lacrime. E non solo a lui. Da qualche parte, in quel carcere cominciò a nevicare. Così, per cancellare le tracce della diversità.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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