Sesta puntata.
Perché ci si siede sul tavolo di Caino? Perché bisogna ascoltare chi è dalla parte sbagliata, chi è condannato oltre ogni ragionevole dubbio? Cosa si può imparare da persone che non hanno nulla da insegnare? E ancora: a chi interessa capire Caino al di fuori della cultura cattolica? Ci ho pensato più volte, quando mi son seduto sull’orlo del fiume inopportuno, quando ho provato ad incrociare gli sguardi di chi era stato condannato ad osservare il mondo dalla parte del torto. Ho riflettuto per giorni, per mesi, per anni e non sono riuscito a darmi una risposta chiara e risoluta. Non c’è una soluzione a questa domanda o, comunque, non c’è una spiegazione univoca e che accontenti tutti i quesiti di chi non sopporta i carnefici, di chi vuole che gli errori umani siano dimenticati, occultati, allontanati dal mondo reale, di chi è convinto che chiudendo le porte agli assassini, agli stupratori, ai rapinatori, chi ha commesso abuso sui minori, ai sequestratori, ladri, truffatori vari si possa tranquillamente sopravvivere con gli altri presunti innocenti. Si è sempre diviso il mondo in due grandi macroaree: i buoni – che sono quelli più rappresentati – e i cattivi, i reietti, di gran lunga la categoria più piccola ma anche la più pericolosa. Così, quando sono state decise le quote di appartenenza, quando qualcuno ha delimitato la cornice sociale, quando è stato assodato cosa occorre fare per far parte di un club piuttosto che un altro, tutti si sono sentiti più tranquilli, ma solo apparentemente. Non è vero che tutti i figli di Caino siano emarginati nel deserto del male e non è vero che tutti i figli di Abele siano davvero così virtuosi e degni di far parte dell’élite del mondo. Il quadro umano non è di semplice lettura e, guardando tutto da più vicino, considerando tutte le pennellate, comprese quelle nascoste, la tela presenta diversi tipi di lettura. Siamo abituati, da sempre, ad osservare il risultato finale di un prodotto e non osiamo – per stanchezza, per paura, per presunzione – andare ad osservare come si è giunti a quel risultato, quali sono stati i vari passaggi che hanno determinato ciò che noi abbiamo davanti. La cosa più semplice è etichettare Caino in base agli atteggiamenti palesi. E’ sicuramente più difficile comprendere quanto Caino c’è dentro i vari Abele che camminano tranquilli sui nostri marciapiedi e che ogni giorno incrociamo. E ancora: quanto Caino c’è dentro di noi e quanto siamo disposti a verificarlo. Il confine non è dunque semplice e non è facile da analizzare. Chi è in carcere a seguito di una condanna passata in giudicato è il nostro Caino di riferimento, quello che ha senz’altro sbagliato, quello che non può dispensare consigli, non può dettare l’agenda ad Abele. Eppure se provate a sedervi sul muro di quel penitenziario, se provate ad osservare i momenti di reclusione, le giornate che si trascorrono in cattività alla ricerca di un recupero di gesti che, ormai, hanno segnato per sempre le strade dei vari Caino e delle loro vittime, troverete interessante scoprire che queste persone, questi scarti della società, questi occhi abbassati e questi oscuri cuori ristretti hanno lo stesso nostro identico sguardo, il nostro sorriso acerbo quando osserviamo l’ignoto, hanno lo stesso modo di produrre le lacrime. Sicuramente cambia il peso specifico, però è necessario sedersi dalla loro parte. Non solo perché qualcuno lo deve fare e non solo perché occorre comprendere il labirinto dei gesti ma anche perché è necessario ascoltare Caino e lo è perché quel percorso ci ha sfiorato più volte e può avvicinarsi ancora alle nostre case gonfie di tanti presunti “Abele”. Dobbiamo avere la forza sociale di ascoltare Caino e provare a ridisegnare, con loro, un altro punto di vista.Il punto di vista diverso da chi miscela la verità in base alla convenienza. Vi chiedo: chi è Caino quando vi è una denuncia piuttosto circostanziata, quando vi sono prove abbastanza oggettive che un padre ha quasi sicuramente abusato della propria figlia, poniamo di sei anni? Chi è Caino quando il giudice, dopo analisi e riscontri, seppur veloci, ritiene di dover intervenire e allontanare il minore e per farlo utilizza gli strumenti che la Legge gli permette, ovvero le assistenti sociali che preleveranno quella bambina e l’accompagneranno in una comunità protetta? Paradossalmente, per alcuni, Caino è quell’assistente sociale. Tutti a guardare il dito e non la luna. E allora vi chiedo ancora: quante urla e quante invettive ci sarebbero state se quella bambina fosse rimasta in mano all’orco che, seppur presunto, vi erano molte probabilità che egli avesse veramente abusato di quell’angelo? Chi è l’angelo e chi è il demone? Non è semplice. Quando si lavora sugli uomini e per gli uomini nulla è mai troppo semplice, nulla e scontato, nulla è previsto e nulla è prevedibile.
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Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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