Leggo dal commento di una brillante opinionista di un quotidiano italiano che, tutto sommato, Putin ha le sue ragioni. Gli americani e gli occidentali al loro seguito non hanno mai portato rispetto alla Russia, hanno lasciato nel limbo di un’ambigua indefinitezza gli equilibri post cortina di ferro, hanno forse pure fatto promesse di non allargamento ad est poi disattendendole.
E poi, dice la nostra opinionista, non è che gli ucraini siano farina da fare ostia. La rivoluzione arancione era inquinata da liquami neonazisti e nell’esercito ucraino, si sa, c’è un migliaio di uomini del battaglione Azov che neonazisti lo sarebbero davvero e, guarda un po’, sono tra i più feroci difensori dell’indipendenza del loro Paese e i più convinti nemici della Russia.
Elementi di estrema destra in un esercito? Ma chi lo avrebbe mai detto?
Però mi viene in mente qualcosa. Ho fatto il militare in Sardegna, alla fine degli anni ‘90, sballottato tra diverse caserme. In una di queste sono rimasto per un paio di mesi, dopo la fase iniziale trascorsa nel Centro addestramento reclute. Una decina di soldatini, tra i quali figuravo anch’io, erano stati assegnati all’addestramento con un capitano toscano, proveniente dal corpo dei paracadutisti.
Era un uomo sulla quarantina. Più che un uomo, una statua. Alto quasi due metri, muscoloso da far paura, con una voce profonda e cavernosa che non saliva mai di tono. Parlava un italiano perfetto, calibrando gli aggettivi e scegliendo sempre i sostantivi più appropriati. Eravamo in estate e facevano i nostri giochi di guerra in tuta da ginnastica e maniche corte. Il capitano invece usava la mimetica che gli lasciava scoperti i massicci bicipiti, da vero culturista. E su uno dei due bicipiti spiccava, nera e netta, una svastica tatuata.
Io avevo 27 anni e avevo sviluppato un minimo di coscienza politica che probabilmente i miei compagni di addestramento, molto più giovani di me, ancora non possedevano.
Rimasi sbalordito. Sapevo perfettamente che alcuni corpi del nostro esercito coltivavano idee di estrema destra, ma trovavo incredibile che in un caserma dello Stato italiano, in un luogo sottoposto anch’esso al nostro ordinamento e ai principi della Costituzione, si potesse così sfacciatamente esibire un simbolo sovversivo. Senza che nessuno, tra i superiori in grado, si azzardasse a dire nulla.
Il capitano, va detto, era anche una persona molto a modo nelle relazioni con noi, nel senso che non gli mancava mai la battuta spiritosa e mai gli vidi compiere un gesto arrogante che la sua condizione di ufficiale gli avrebbe forse permesso. Io già portavo la barba, che in quella caserma non era ammessa: ebbi da lui un permesso speciale per tenerla. Però la natura quella era e, a proposito di battute, ne ricordo ancora una da cui rimasi inorridito.
Durante uno degli esercizi atletici, dovevamo restare appesi a delle travi fissate ad una certa altezza e spostarci da una all’altra a forza di braccia. Uno dei miei commilitoni cedette dopo pochi istanti e cascò a terra come un salame, atterrando sui cumuli di sabbia depositati per attutire l’impatto.
Ridemmo tutti, da veri bastardi. Il capitano culturista commentò il capitombolo con una osservazione che ricordo testualmente: “Se dovesse scoparsi una negra su un albero, lei sarebbe fottuto”.
E da vigliacchi e pavidi ridemmo, ancora una volta.
Di simboli fascisti e nazisti ne vidi tanti altri, in quel breve periodo di servizio alla patria. Tutti orgogliosamente messi in mostra, come fossero una libera manifestazione del pensiero. Così come ricordo le sottili intimidazioni di un maresciallo, quando mi chiese se io, come gli sembrava da certi miei ragionamenti, avessi simpatie di sinistra.
Volevo solo dire all’opinionista che neonazisti e neofascisti nelle forze armate ci sono ovunque, non solo in Ucraina. E se è vero che in Ucraina questo movimento ha anche prodotto un partito nazionalista, xenofobo, sostenitore della maniere spicce e della pena di morte, chiederei all’opinionista se ravvisi che partiti con le stesse caratteristiche esistano anche in Italia. E se le risulti di aver sentito dichiarare a capi di governo italiani “Mussolini ha fatto anche cose buone” e se quegli stessi governanti abbiano liquidato la Liberazione dal nazifascismo come una festa di parte.
Sì, tutto questo in Italia è accaduto. Speriamo che a Francia, Svizzera o Austria non venga mai in mente di invaderci per defascistizzare la nostra classe dirigente.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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