La settimana scorsa sono stato al corso di aggiornamento professionale dei giornalisti, alla Facoltà di Economia del Turismo di Olbia. Tra i relatori c’era anche l’assessore Morandi, ma più del suo mi ha colpito l’intervento di Antonio Usai, un giovane e brillante docente (e consulente di Morandi) studioso del mercato turistico cinese. Lui viaggia spesso in Cina per cercare di far conoscere il marchio Sardegna, anche installando degli stand davanti ai centri commerciali delle città più grandi, anche offrendo assaggi del nostro pecorino. Pare che dalla dieta ordinaria dei cinesi il formaggio manchi, ma si dice che quando assaggiano il nostro pecorino non sappiano trattenere un “ooooh” di piacere e meraviglia. Perché la Cina? Perché il popolo cinese è il paese col più alto numero di potenziali turisti del mondo, il mercato delle vacanze più ricco che esista. Per darvi una misura: ieri è uscita la notizia secondo cui la Cina è diventata il paese che frutta i maggiori fatturati alla Apple, superando per la prima volta gli Stati Uniti. Giusto per offrire un parametro sulle potenzialità economiche di questa gente. Quale idea hanno della Sardegna i pochi (per ora) cinesi che la conoscono? Hanno l’idea del luogo che custodisce il segreto della longevità, essendo la Sardegna una delle zone del mondo contrassegnata dal bollino blu riservato alle terre con la più alta percentuale di centenari. I cinesi considerano la Sardegna come i pensionati americani vedono la Florida: un luogo per andare a godersi la vecchiaia o, addirittura, per stabilirvisi anche nel pieno dell’attività lavorativa. Con le tecnologie telematiche, si sa, la presenza fisica sul posto di lavoro non è sempre necessaria. Aspetto da non tralasciare: i cinesi non prendono il sole, quindi se li si vuole convincere a sbarcare in Sardegna la spiaggia non basta. Piacciamo per quel che siamo: per la nostra aria pulita, per il nostro cibo, perché in Sardegna si vive bene. Non solo ai cinesi, ma ai tanti tedeschi, francesi e inglesi che la loro seconda vita hanno deciso di trascorrerla in Sardegna.
Ieri ho camminato per trenta chilometri sul filo della Costa di Aglientu, dalla spiaggia di Lu Litarroni a Portobello di Gallura, il luogo dove Fabrizio De André scrisse “Amico fragile”. Per descrivere meglio questi posti, vi allego il link del video girato dal drone commissionato dalla Pro loco: https://m.youtube.com/watch?v=C4zp_5BPVeg Ci ho messo tutto il giorno, ma mi serviva una ricognizione a piedi per programmare un’escursione in bicicletta che, nei miei piani, dovrà permettere a chi vi parteciperà di pedalare lungo tutta la costa settentrionale, dalla Costa Smeralda fino all’Asinara.
Mentre camminavo, mi è tornata a mente quell’associazione turismo uguale vita sana descritta dal professor Usai. Non che non la conoscessi, ma con gli occhi pieni di questo spettacolo naturale la convinzione che questa sia una delle risorse più importanti della Sardegna diventa certezza. Scusate se ve lo ricordo, ma ieri era il 26 gennaio e all’aria aperta si stava divinamente.
Nel 2014, in sella ad una bicicletta, io ho attraversato la Sardegna da nord a sud per due volte. Conosco ormai bene i luoghi, posso dire con certezza che ogni scorcio di quei quattrocento chilometri dell’itinerario sia unico. Un conto, però, è vederli dal parabrezza di una macchina, un conto è goderseli dopo esserci arrivati a piedi o sui pedali. È in quel preciso momento che il turismo inteso come ristoro del corpo e dell’anima trova la sua formula compiuta. Non voglio dire che panorami e contesti della Sardegna non abbiano eguali al mondo (molti sardi hanno bisogno di trovare conferme sentendosi dire che sono i più belli e i più bravi), dico con certezza che hanno potenzialità enormi e per larga parte inesplorate.
Veniamo al punto che mi sta a cuore: con cicloturismo e trekking si può costruire una nuova economia, fuori dalla stagione estiva, riempiendo quei residence che per larga parte dell’anno restano desolatamente vuoti e rimettendo in moto le economie dei piccoli centri.
Io lo so quel che pensano in molti: la bicicletta significa fatica, sudore, sforzo, poco si associa all’idea di un corpo abbandonato in spiaggia, sotto un ombrellone. E invece è proprio quella monocultura balneare del turismo che in Sardegna sta riducendo l’impatto economico del comparto. Un certo turista cerca la purificazione, l’espiazione dalle sue routine metropolitane attraverso una full immersione di natura, cerca lo spirito d’avventura dell’esploratore. Pensateci un momento: su cosa è costruita l’economia della montagna? Su uno sport, lo sci, su due strisce di plastica che, ogni anno, convincono a spostarsi verso gli impianti milioni di persone. E quando le piste da sci chiudono, in cosa vengono convertite? Anche in bike park, dove gli appassionati possono scorrazzare con i loro bolidi a due ruote. Perché la bicicletta no, allora?
Pensate, come ho fatto io, ad una settimana trascorsa per mezza giornata in mountain bike, spostandosi di centro in centro e ogni volta pernottando in un luogo diverso: questo in Sardegna lo possiamo fare per nove mesi all’anno, nel resto dell’Europa manco per niente, per un fatto climatico. Cosa ci vuole per far funzionare questa idea? Principalmente, una collaborazione tra le amministrazioni locali e la reale convinzione che su questa formula si debba investire. Gli assessorati regionali ai Lavori pubblici e al Turismo sulla rete delle ciclabili ci stanno lavorando, ma la filosofia del progetto sembra per ora un poco vaga.
Ieri, mentre camminavo sulla Costa di Aglientu, ho trovato rastrelliere per la sosta delle mountain bike arrugginite e sentieri abbandonati a loro stessi, risultato di un progetto forse abbozzato ma rimasto incompiuto. Secondo me – fermo restando la buona volontà degli amministratori che hanno battuto queste strade – i sentieri per il trekking o la mountain bike hanno poco senso se ristretti ad un ambito municipale. Io, turista che viene in Sardegna per una settimana in mountain bike, devo essere messo in condizione di pedalare sullo stesso sentiero per almeno un centinaio di chilometri: dove finisce la tratta di competenza di questo comune, inizia quella del Comune confinante. Gli amministratori si incontrino parlino, concordino, programmino, realizzino. Non stiamo parlando di una strada a quattro corsie, si tratterebbe di diradare il cisto usando delle semplici roncole e di tenere in condizioni decenti questi tracciati. Certo, ci saranno da accertare le proprietà dei fondi attraversati e ci saranno da discutere altri aspetti tecnici, ma il progetto è più che fattibile. Altra prescrizione importante, evitare itinerari troppo impegnativi accessibili solo ad atleti o a praticanti molto allenati. In bicicletta debbono poterci andare tutti o quasi, affinché questa forma di turismo abbia numeri adeguati ed incida veramente sul nostro Pil. Il giro della Sardegna in bici, assieme a me, lo hanno affrontato anche due sessantacinquenni: uno, molto allenato, non è mai sceso di sella, l’altro ha viaggiato in furgone nella tappe più impegnative: bisognerebbe disegnare itinerari che siano alla portata di chiunque abbia un minimo sindacale di preparazione atletica. L’architetto e triathleta Tore Dessena (sì, proprio quello che scrive per Sardegnablogger) ha concepito un sistema integrato di piste ciclabili articolato per aree tematiche, coerente sul piano della sostenibilità finanziaria e che sfrutterebbe parte del patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato. Basterebbe poco per attuarlo, principalmente un vero interesse da parte delle istituzioni. Una volta che il cliente assaggia il prodotto, non può che comprarlo. Come i cinesi col pecorino.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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