Mi viene un retropensiero illuminante mentre vedo in tv la solita ressa di colleghi in gran parte precari che non possono ribellarsi a questa farsa e che inseguono per la strada un qualsiasi politico del cazzo, un imbecille che a malapena entra nella cronaca figuriamoci nella storia, facendogli intorno una selva di telecamere e registratori e smartphone collegati in diretta con la redazione. E tutto questo mentre questo grandissimo/a stronzo/a procede con compiaciuta noia, rispondendo con sdegnosi monosillabi e ostentando fastidio. Brutto/a coglione/a, eppure lo sai che ti sei messo/a in ginocchio davanti al tuo capo perché ti nominasse qualcosa proprio perché volevi uscire sui giornali, possibilmente non per avvisi di garanzia o peggio, e ora ringrazi così quelli che i giornali mandano a onorarti in questa maniera stradale che (scusate se sono vecchio) io giudico impropria? L’illuminazione è sul nostro ruolo, il ruolo dell’informazione. Che anche in Italia, nonostante tutto quello che se ne dice, è pur sempre una componente della democrazia, anche se sempre più debole e problematica. Perché questa faccenda dei microfoni e delle telecamere che si umiliano all’uscita dagli alberghi o dai palazzi dei congressi o dalle residue sedi di partito davanti a queste teste di cazzo a molla che non sanno neppure parlare bene l’Italiano (voi direte: ma non è che tu ora lo stai scrivendo molto bene, l’Italiano. Vabbé, ma io sto scherzando, quelli fanno sul serio, proprio non sanno un cazzo, si vede), mi fa pensare a un saggio di John Carroll pubblicato qualche anno fa. Si chiama “Il crollo della cultura occidentale” ed è istruttivo perché il sociologo e filosofo Carroll è australiano e ha quindi un occhio di non rispetto verso i mostri sacri dell’Occidente antico e parla di limiti dell’Umanesimo con un atteggiamento sanamente revisionista che coinvolge anche Rinascimento e Riforma. Se ne fotte dei nostri miti, in parole povere. E a un certo punto cita Las meninas di Velazquez del 1656. Avete presente? C’è l’Infanta Margarita, che aveva cinque anni, con le damigelle che le stanno intorno. Nella composizione, anche due nane di corte una delle quali con piede posato su un mastino. Verso il fondo, una serva e servo (di apparente autorità, quest’ultimo). E c’è anche Velazquez, vicino a una tela, con tavolozza e pennello. Da una porta aperta si intravvede il ciambellano e uno specchio riflette il re e la regina. Un quadro nel quadro. Velazquez ritrae tutti ma il re e la regina non posano per lui. E l’Infanta, se era in posa, è distratta dall’inaspettato loro ingresso. John Carrol la definisce “la più sovversiva delle opere d’arte in Europa”. Da un lato il quadro emana la forza discreta e onnipresente di Filippo IV, un’autorità immateriale, riflessa nello specchio, ma forte del suo comando verso ogni figura rappresentata nel quadro. Tutte le figure a parte quella dello stesso Velazquez, ritratto mentre lavora tranquillo. Sta da una parte ma non per timore o rispetto del re, semplicemente perché il suo compito è quello di ritrarlo oggettivamente. L’artista guarda sfacciato in viso il dio-sovrano, quasi con aria di sfida in contrasto con l’atteggiamento deferente di figli e servi. Carrol dice che Velazquez è democratico, mette il re nella stessa posizione dello spettatore, siamo tutti uguali, “l’autorità che regola Las meninas si nutre dell’autorità di ciascun individuo”. Al museo del Prado ogni turista che passa “e guarda questo capolavoro è uguale a re Filippo IV”. E io penso che la tacita sfida della autorappresentazione dell’artista che guarda il re, il sommo della politica, è la tranquilla superiorità di chi sa che il giudizio finale, in questa terra (e non sono sicuro che ce ne siano delle altre, di terre) è suo: mio caro re, sono io che ti giudico e ti tramando, la tua figura, i tuoi atti, la tua persona passano attraverso la mia arte. Ecco, colleghi, noi giornalisti siamo tutti Velazquez. Cerchiamo di non scordarlo mai. Soprattutto davanti a certi coglioni che di Filippo il Grande non hanno neppure i baffi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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