L’augurio alla mia città per il nuovo anno è quello di scovare nel proprio passato le uova dei bachi che ora scavano nel presente e rendono incerto il futuro.Il sussulto di ribelle emancipazione dalla Regione che Sassari sembra vivere in questi mesi – e che volenti o nolenti influirà sulle prossime elezioni regionali e comunali – è annacquato dalle lacrime per i bei tempi nei quali c’erano i politici potenti che portavano per il mondo l’aria di piazza d’Italia; nei quali c’era la cultura con le sue punte di eccellenza; nei quali c’erano ancora le grandi famiglie eredi dei fasti della città capitale morale.Tutte balle.Sassari non fa altro che perpetuare con esiti ancora più disastrosi la situazione di cinquanta o sessant’anni fa, quando un gruppo di persone strutturate in lignaggi, tribù, focolari e botteghe si spartiva il potere e la ricchezza distribuendosi tra le varie correnti della Dc e tra i partiti che la appoggiavano. Adesso le compagnie di comando si spargono tra gli eredi multicolore di quel sistema, sempre più decrepiti ma patellosi nel loro attaccamento a signoria e investimenti e sempre meno efficaci sul piano amministrativo.Sassari subì il suo trauma moderno con l’arrivo di Nino Rovelli, che investendo soldi in gran parte pubblici nel nostro territorio incise irrimediabilmente nell’economia e nella cultura. Fu un grande progetto arrivato da fuori, un po’ come quello dell’Aga Khan sull’altra costa, dagli esiti ugualmente tempestosi ma dalle conseguenze soltanto in parte negative: c’è un pezzo di Gallura dove nel bene e nel male – pur con tutte le distorsioni legate alla questione ambientale e agli assetti sociali – il turismo continua a produrre ricchezza, mentre a Nord Ovest la chimica svanì dopo un rapido sogno di occupazione e di benessere diffuso.Noi, più o meno cinquant’anni dopo, siamo ancora fermi a quello shock: Dio mio, ma allora le ciminiere davanti al mare erano un miraggio!Certo che erano un miraggio. Si investì denaro pubblico gestito da un privato in una industria di trasformazione chimica fortemente inquinante e già ritenuta obsoleta in gran parte del mondo quando ancora la Sir di Porto Torres non aveva finito di nascere. Non si creò neppure nuova classe dirigente capace di gestire questa bolla industriale. Rovelli si confrontava con un manipolo ristretto di leader regionali mentre la classe politica sassarese contribuiva in nome del progresso alla destrutturazione dell’economia agricola del nostro territorio e dell’industria locale. Nei due secoli passati ci sono stati due momenti in cui Sassari rinunciò a un ruolo importante nell’isola. Il primo fu per un fatto oggettivo, un tragico evento, cioè il colera che nel 1855 annichilì la città facendo strage in poche settimane di un quarto della sua popolazione. L’altra è quello di cui parliamo, gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando l’illusione della chimica travolse la struttura economica sassarese basata sulla trasformazione dei prodotti agricoli per il mercato sardo. E la bolla chimica fece chiudere le aziende di Azzena, di Pesce, di Pirisino e tutti gli altri grandi e piccoli opifici che, anziché competere distinguendosi per qualità e segmenti di mercato con le incalzanti Barilla e Agnesi, si dovettero arrendere alla globalizzazione.La borghesia locale perse rappresentanza e cominciò la parte del nostro declino che ancora viviamo. Sul piano sociale rimase indefinito il ceto dirigente. Era scomparsa la borghesia agraria-industriale che con quella delle professioni aveva dato al territorio eccellenze politiche sia nel settore progressista sia in quello moderato e aveva tenuto in piedi un’università di livello nazionale. Quali erano le classi emergenti? Ben presto l’improvvisa e numerosa classe operaia della Sir cominciò a dissolversi insieme all’industria intorno alla quale si era raccolta. La borghesia produttiva del terziario, soprattutto i commercianti, non aveva uno spessore da nuova classe dirigente e lo dimostrò soprattutto lasciandosi abbagliare tra gli anni Settanta e Ottanta dall’altro miraggio, quello dell’immensa zona commerciale extraurbana di Predda Niedda che dissanguò la città.Restò soltanto l’industria del mattone, intorno alla quale si riassestarono politica e cultura, tanto che nessuno si oppose agli obbrobri urbanistici che arricchirono pochi e tolsero valore a tutta la città.Sassari perse ogni supremazia. A partire da quella culturale. Si pensi alla perdita di ruolo dell’università o più semplicemente delle antiche eccellenze qual era la lirica, passata in secondo piano rispetto a un ente di portata europea come quello di Cagliari, che riceve un mucchio di soldi anche per diffondere l’opera in Sardegna ma la diffonde quasi soltanto nella zona tra Pirri e il Poetto. O a quella della politica, categoria nella quale la distanza tra i pochi campioni che volavano a Roma e il livello medio cittadino si misurava in anni luce.Una classe dirigente senza progetti e incapace di difendere l’esistente, come negli anni Novanta dimostrò la vicenda del Banco di Sardegna, l’ultimo grande potere cittadino ceduto a una banca emiliana.E’ la Sassari del declino, la città dell’economia fondata sugli appalti pubblici e schiava di ristretti gruppi a cavallo tra politica e impresa che spostano i pochi fondi disponibili.E’ questa la Sassari che nell’attuale trasalimento di orgoglio richiede un ruolo, si ribella al destino di albero morto al quale fare legna, funzione che una Regione miope le attribuisce da una cinquantina di anni a questa parte.Ogni ribellione, però, deve portare dentro di sé la coscienza delle proprie colpe. Ma molti politici sassaresi non dicono chiaramente che l’ente regionale deve cessare di svolgere il compito di banca pubblica di Cagliari per essere la Regione di tutti sardi. Non hanno capito che soltanto cessando di essere complici di questo stato di cose e cavalcando questa insofferenza con coraggio e parole decise, rinunciando a vecchie sicurezze e vecchie alleanze, potranno diventare la nuova classe dirigente.Ci fu un altro momento, alla fine del Settecento, in cui Sassari prese una direzione secessionista: fu la ribellione dei nobili contro il potere del re allocato a Cagliari, il moto dei feudatari che volevano continuare ad affamare il popolo senza alcun limite legislativo ed economico.Angioy entrò a Sassari per zittirli.Ora i feudatari non ci sono più, ma bisogna impedire che questa onda di esasperazione nei confronti della Regione dia forza a interessi personali e improduttivi. Alla storia passeranno gli uomini e i partiti che riusciranno invece a utilizzarla per guidare Sassari alla funzione di centro di un grande territorio potenzialmente produttivo e di grande e preziosa città della Sardegna.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design