Ho controllato su Google Maps la distanza tra casa mia e Las Vegas, poi quella tra casa mia e Mogadiscio. Dai calcoli della app installata sul mio iphone, risulta che la città africana mi sia più vicina di un migliaio di chilometri rispetto a quella americana. Da questa osservazione ho capito quanto la distanza fisica tra noi è un sanguinoso fatto di cronaca non c’entri un fico secco con l’impressione che quel fatto suscita in noi. Lo sappiamo bene, ma certe ovvietà val la pena di ribadirle: la quantità delle nostre lacrime non sempre è inversamente proporzionale alla distanza da quel sanguinoso fatto di cronaca. I morti ammazzati, nella nostra autoreferenziale visione del mondo, non valgono tutti allo stesso modo: c’è chi vale di più, c’è chi vale di meno. A Mogadiscio, in Somalia, due giorni fa sono morte trecento persone, trecento vite umane cancellate da un’autobomba. A Las Vegas, poche settimane fa, uno squilibrato uccise a colpi di mitragliatore cinquantotto persone, colpite a caso tra il pubblico che assisteva ad un concerto. Quanti speciali televisivi avete visto sui morti di Mogadiscio, quanti titoli nei telegiornali, quante bandiere somale sulle bacheche Facebook? Ci sono vite umane che ci interessano di più, altre che ci interessano meno. I morti americani sono cellule del nostro stesso corpo culturale: ci hanno liberato dal nazifascismo, portiamo ai piedi scarpe delle loro multinazionali, trepidiamo per i loro divi del cinema e guardiamo a loro come all’avamposto della civiltà, un modello cui costantemente tendere. Sentiamo quei morti come nostri e portiamo il lutto. I morti di Mogadiscio sono qualcosa di remoto, estraneo alla nostra vita, rottami di una civiltà primitiva che non ci interessa. Invece tra quei trecento morti c’erano madri, padri, figli, gente che aspettava on entusiasmo il domani e aspettava l’alba o un tramonto per commuoversi. Esattamente come i morti di Las Vegas: parte dello stesso genere umano, titolari ciascuno del miracolo della vita, ciascuna importante allo stesso modo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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