A seguito di una giornata cagliaritana a parlare di mafia con Attilio Bolzoni, inviato del quotidiano “la Repubblica”, l’amico Vito Biolchini ha scritto un articolo che cerca di ragionare su mafia, Sardegna e giornalismo. Un elenco di punti, o spunti di riflessione, che cerca di solletticare ulteriori riflessioni su ciò che è diventata la Sardegna nella sua declinazione criminale e su come queste traiettorie vengono analizzate, raccontate e discusse dalla sfera giornalistica.
Tra i diversi spunti proposti, uno mi ha particolarmente colpito; quello in cui Pino Tilocca, sindaco di Burgos (che ha subìto cinque attentati perdendo il padre in uno di questi), dice: “Non c’è la mafia in Sardegna? Parliamone. Anche da noi, nei nostri paesi il territorio viene controllato dai criminali, lo sappiamo. Nelle indagini sull’omicidio di mio padre è emerso inoltre che erano coinvolte persone di sei paesi diversi. Una rete di complicità dunque esiste”.
Vito comenta le parole di Tilocca in parte avvalorandone la tesi (“Noi sardi probabilmente siamo mafiosi ma non lo sappiamo”), in parte lasciando spazio ad ulteriori categorie interpretative del fenomeno (“Capiremo di esserlo quando troveremo la parola adatta per riassumere il fenomeno di questa criminalità di cui sappiamo scorgere e raccontare solo singole parti”). Insomma, alla fine non ho capito se Vito ritiene davvero che la presenza mafiosa in Sardegna sia una questione endogena, strutturata, forte e pervasiva o, semplicemente, qualcosa di fraglile, occasionale e ancora avvolto da molteplici strati di nebbia sia per chi vi si trova in mezzo sia per chi la nebbia la osserva da fuori.
Dal mio punto di vista, su questi argomenti bisogna sforzarsi di essere chiari, cercando – per quanto possibile – di utilizzare categorie aderenti a ciò che la realtà ha posto sotto gli occhi dei diversi osservatori ormai da diversi anni. Dal mio punto di vista bisogna distingure i fenomeni criminali organizzati da ciò che una montagna di letteratura, analisi e sentenze giudiziarie hanno svelato del fenomeno mafioso. Bisogna cioè sforzarsi di distinugere la innegabile presenza di alcuni interessi mafiosi nell’isola dalla presenza strutturata dell’organizzazione mafiosa nell’isola: riciclare danaro attraverso attività di compravendita immobiliare lungo coste interessate da turismo è faccenda pericolosissima e da contrastare in modo serrato. Altra cosa è però la innervata possibilità, nel tessuto socio-culturale ed economico isolano, di vedere nascere, estendersi, proliferare e riprodursi il fenomeno mafioso per come ha dimostrato di determinarsi nella sua declinazione siciliana ( o in altre forme, come in quella delle ‘ndrine o della camorra).
La Sardegna, o meglio i sardi, non hanno mai dato prova di una capacità di costruzione di stabili gerarchie criminali. Anche in ragione di atti di violenza verso le persone, come il rapimento di uomini e donne, che richiedevano un network più o meno stabile di relazioni intra-organizzative, con specifici ruoli distinti per funzione, continutià temporale d’azione, etc.. il sistema organizzativo si scioglieva una volta conclusa la transazione economica con il riscatto o con l’azione di repressione delle forze dell’ordine. Quasi mai le stesse persone continuavano la propria azione criminale in quella o in altre tipologie di reato nella e per la stessa organizzazione. Finito il reato, ognuno a casa sua…
A memoria, la strutturata azione di una stessa organizzazione criminale nell’isola si può far risalire alla banda di Is Mirrionis di Mario Tidu e pochi altri alla fine degli anni ’80. E non è un caso che l’azione si rivelò in parte continuativa e in parte estremamente profittevole: gli accordi di scambio di eroina purissima (per i tempi) e di armi con la cosca perdente degli Iannì- Cavallo di Gela e con i siculi trapiantati a Carbonia, insegnarono ai cagliaritani le virtù della struttura organizzativa, della gerarchia e del controllo territoriale. Ma durò poco.. non ci fu la capacità di comprimere l’opportunismo e gestire le tensioni dei molteplici personalismi emergenti in diversi punti della banda. Infatti finì male, e anche velocemente, per tutti.
Il fatto è che, come dice Braudel, la Sardegna si trascina da tempo immemore questa difficoltà a costruire gerarchie criminali, che altro non è che cercare mutevoli equilibri di cooperazione pur in ambito di devianza. Affection de longue durée, direbbe lo storico.
A differenza del resto del Mediterraneo, in Sardegna lo scontro tra agricoltura e pastorizia non si è risolto a favore dei primi. Qui in Sardegna sono mancate tutte quelle condizioni e gli stessi protagonisti di quella accumulazione originaria del capitale che in altre parti del Sud (e non solo) ha dato alle classi sociali e allo sviluppo delle condizioni di mercato e di rispetto dei contratti. Da noi, come direbbe Williamson, i costi di transazione sono eccezionalmente alti…. In Italia ha vinto l’agricoltura e da noi la pastorizia; in Italia c’è stata una concorrenza impressionante per l’accapparramento dlle risorse in ragione di una densità abitativa impressionante assolutamente assente nella nostra Isola.
In Sardegna ha funzionato in modo più continuativo l’uso collettivo delle risorse come freno all’individualismo e al familismo: le terre comuni e la forte presenza della pastorizia hanno impedito la nascita di una forte borghesia agraria. Una realtà di poveri con risorse scarse e povere.
E in ragione della povertà delle risorse, i poveri usano la violenza in modo diverso da come la usano i mafiosi in contesti distinti: usano la violenza vendicativa come strumento egualizzante. Meglio essere tutti poveri e continuativamente poveri che vedere uno di noi che si arricchisce (a danno degli altri). La vendetta sarda ha sempre redistribuito le possibilià di ricchezza – verso il basso, senza dubbio – ma cercando di limitare l’allungarsi della stratificazione sociale. Ha distrutto ricchezza più che contribuire ad accumularla. Ha sempre appiattito la possibilità della polarizzaizone delle risorse economiche.
In questo senso la violenza mafiosa e quella della vendetta sarda si sono trovati sempre ai due poli opposti: la prima crea ricchezza e può agire solo nel senso della strutturata gerarchia, la seconda è l’esito di un gesto autonomo, dei singoli, che cerca di livellare le ricchezze, di ricondurle alla linea d’orizzonte, o di ristabilire il portato di onore persnale e familiare che è stato squilibrato da precedente affronto ( e cerca di farlo, per quanto possibile, in modo equilibrato). Ma è sempre faccenda di azione singola o legata a singolo nucleo familiare, mai a gerarchie organizzative o a network ancora più complessi.
Insomma, La mentalità della vendetta, che promana dal singolo e non dal gruppo, è l’eredità in dote alle (im)possibilità organizzative criminali dei sardi “à la mafia”. Quell’assenza di ricchezza originaria degli spazi agricoli di latifondo, che crea signoria e servitù; vassallaggio e sottomissione morale al Signore sono assenti. Quelle necessarie risorse immateriali che servono a far funzionare un gruppo in modo costante, sia legale che criminale, come la fiducia, la cooperazione, sono moneta scarsa nell’Isola.
Ora la vendetta antica, quella codificata da Pigliaru e presente in modo diffuso in tutti gli spazi delle zone interne, non esiste più. Esiste solo confusione culturale, povertà e malessere (materiale e non) diffusi. Sono sfumate le strette relazioni tra le lontane ragioni socio-economiche e le difficoltà ad organizzarsi criminalmente. Ma è rimasta questa incapacità a mantenere in piedi gerarchie, relazioni di mercato durature, controllo del territorio.
E se il territorio isolano ospita le azioni di ricilaggio di danaro proveniente da investimenti di origine mafiosa, non bisogna confondere questo segmento d’azione di mercato illecito né con la presenza strutturata di cosche in loco, né con le possibilità di stabili alleanze con gruppi locali che non hanno dato prova di stabile tenuta nel tempo. Fino a prova contraria, evidentemente. E nel mentre mai smettere di monitorare.
Essendo benevoli, chiamamoli “gruppi criminali organizzati”, ma non mafia. La mafia è altra cosa.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design