Anch’io ho subito molestie sessuali. È accaduto una notte d’estate di metà anni novanta, credo del 1994. Sì, credo proprio del 1994, perché ho nella memoria il riferimento dei Mondiali di calcio negli Stati Uniti, collegati all’episodio che sto per raccontare. Avevo 23 anni e lavoravo nella sicurezza del Consorzio Costa Smeralda. Sarà stata mezzanotte. L’operatore della centrale mi chiamò sul canale 4, quello delle comunicazioni riservate, per chiedermi di accompagnare a casa una signora che, trascorsa la serata in un locale di Porto Cervo per vedere una partita della nazionale, stava rientrando in auto nella sua villa di Cala di Volpe. Spiegò l’operatore che la signora aveva paura a rincasare da sola, al buio. Ricordo anche il suo nome, che ovviamente non scriverò. Mi appostai al bivio di Abbiadori, in attesa che l’auto con la signora impressionabile arrivasse. Lampeggiò convulsamente, quando vide il muso della Punto biancazzurra della vigilanza: si fermò, mi sorrise e ci invitò a seguirla. “Ci invitò”, perché in servizio con me c’era un collega, un altro stagionale. Salimmo con lei le scale ripide che portavano sino ad un ampio salone con vista su un mare illuminato dalla luna. Lei si sedette su una poltrona bassa, noi restammo in piedi e accennammo ad un saluto, per levare il disturbo. Ma la padrona di casa voleva parlare. Fummo investiti da una raffica di parole di cui era difficile acchiappare il senso. Aveva bevuto parecchio. Ricordo una voce arrochita, da fumatrice incallita, ed una gonna bianca che scopriva gambe abbronzatissime in frenetico movimento: ora le accavallava, ora le divaricava in modo indecente, costringendoci a volgere lo sguardo altrove. Era una donna oltre la cinquantina, quel genere di donna con tanto denaro, tanto tempo libero, tanti vizi e tanta noia da vincere. Di lei avevo già sentito parlare, perché nell’ambiente di lavoro si vociferava di una sua forte simpatia per un collega anziano: trovava irresistibili le divise, si diceva. Non era l’unica, a dire il vero. Ce n’era un’altra, di queste ricche e annoiate signore, rimasta vedova in giovane età, cui il marito aveva lasciato un patrimonio favoloso che le aveva permesso di passare la vita a far nulla. Trascorreva sei mesi l’anno nella sua casa in Costa Smeralda e in quei mesi mesi flirtava ogni sera con un uomo diverso, finendo inevitabilmente al centro del gossip da caserma di quei tempi. Una notte d’agosto degli anni settanta, una guardia notò l’auto della vedova allegra ferma in uno spiazzo nei pressi dell’hotel Romazzino. La guardia tirò fuori la pila e la appoggiò al finestrino, per capire se dentro ci fosse qualcuno. La vedova, schienata sul sedile reclinato, aveva sopra di sé il corpo possente di un giovane amante molto calato nella parte. Il fascio di luce e gli occhi che rubavano quell’intimità non la impressionarono affatto: riconobbe la guardia – a quei tempi erano poche – e la invitò ad allontanarsi con queste precise parole: “Mario, cosa fa? Non vede che sto scopando?” Ma torniamo a quella sera d’estate del 1994. Ad un certo punto del diluvio di parole senza capo né coda, la signora si sentì in dovere di spiegarci perché ci aveva mandato a chiamare. E mentre s’infilava in quel discorso, iniziò a fissarmi: all’altezza della cintura, diciamo. ”Sapete, io sono una donna sola e indifesa. Sono sempre sola, sapete? Se quando torno a casa ci fosse qualche malintenzionato, di quelli che approfittano di donne sole, cosa farei?” Non ricordo cos’avessi risposto, ma ricordo bene che la sua finta espressione preoccupata si trasformò in un sorriso malizioso. Poi proseguì la sua campagna di sensibilizzazione verso le donne sole e indifese. “Certo, sei io avessi la sua pistola sarebbe tutta un’altra cosa. Me la farebbe toccare la sua pistola?”. Il mio collega mosse due passi verso la porta affinché la padrona di casa non lo sentisse ridacchiare. “Dai, mi faccia toccare la sua pistola. Me la faccia prendere in mano”. Io, che ero tonto allora come lo sono oggi, non capii e risposi che l’arma di servizio era un oggetto strettamente personale da custodire sotto la responsabilità del titolare, dunque non poteva essere ceduta a nessuno. Cercai di usare tutto il tatto possibile, perché il mio stipendio era pagato dai soci del Consorzio Costa Smeralda e dunque anche da lei, la donna che avevo di fronte. Ma non bastò. Ci liquidò un istante dopo, sbrigativamente, e noi ce ne andammo. Per il resto della notte e fino alla fine del turno, il collega non parlò d’altro. “La voleva proprio, la tua pistola”. E poi si pisciava dalle risate. Solo allora capii la metafora. Sarà un caso, ma per le settimane seguenti fui regolarmente assegnato ai servizi peggiori: postazioni fisse o a sollevare e riabbassare le sbarre all’ingresso di certe spiagge. Veniamo al punto. Anche io, come certe soubrette dimenticate di queste settimane, mi sono deciso a denunciare quella molestia sessuale. Solo verbale, certo, ma fondata sulla capacità ricattatoria che, in quel momento, chi l’ha compiuta poteva esercitare nei miei confronti. Mi sono sentito offeso nella mia dignità di uomo e di professionista, se permettete. Certo, sono passati venticinque anni. Ma questo riduce forse la gravità della violenza psicologica perpetrata alla mia persona? E poi, ve l’ho detto, sono tonto e ho bisogno dei miei tempi per capire: non vorrete forse discriminarmi per il mio scarso quoziente intellettivo?
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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