“Voi siete femministe e io odio le femministe”. Marc Lèpine odiava le donne con tutte le sue forze. La mattina del 6 dicembre 1989 uscì dalla sua casa di Montreal con un fucile e si presentò al Politecnico. Raggruppò le femmine e ne uccise quattordici. Roba che all’epoca fece inorridire il Canada e l’umanità intera, prima dell’inesorabile oblio che annualmente il rito del nastro bianco da appuntare sulle giacche si ostina a contrastare senza troppa efficacia. Oggi che ci si interroga sulle stragi di Parigi e sull’ennesima carneficina statunitense, è utile ripensare a ciò che trasformò lo studente 25enne Marc Lèpine in un assassino.
“Voi siete femministe e io odio le femministe” urlò prima di aprire il fuoco. Ce l’aveva con le donne, Lèpine. Era un misogino. Ed era convinto che le donne rappresentassero un nemico per “lui in quanto uomo”. Ha quindi preso di mira la scuola, il luogo dove anche le donne venivano preparate per diventare ingegneri e sottrarre, dunque, lavoro da uomini destinato agli uomini. Era un maledetto pazzo psicopatico, Lèpine? Forse, ma era capace di argomentare con estrema lucidità le sue teorie. Si considerava egli stesso una persona razionale ed erudita. Quindi vien da pensare che non fosse così pazzo. E allora cosa ha trasformato Mark Lèpine in un maledetto assassino?
Io non credo che la follia omicida sia sempre riconducibile alla malattia mentale così come la intendiamo. Di solito, tendiamo a sbarazzarci in fretta di ciò che non riusciamo a capire, salvo poi ritrovarcelo davanti e porci le stesse, identiche domande. Penso invece ci sia un filo rosso a tenere uniti i carnefici di ieri e di oggi, di ogni nazionalità, colore e credo religioso. E’ un filo intriso di odio che attende solo di essere acceso, come una miccia, da un pensiero che macera nella rabbia, propria o instillata. E penso che, di questi dolori, non ci libereremo mai.
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