Ho visto avvizzire in pochi mesi le forme generose di quella ragazza, nello stesso tempo il suo sorriso spegnersi in una rassegnazione a denti stretti. Poi ho saputo di un ragazzo appena diplomato che, dopo sole tre settimane dall’assunzione, si era licenziato. Stava nello stesso posto di lavoro dove la ragazza aveva smesso di vivere. Ho messo assieme tutto, quando mi hanno raccontato cosa sia la vita nel punto vendita di quella grande catena commerciale nazionale. Una di quelle con i magazine aziendali impilati su uno scaffale all’ingresso, sulla cui copertina un personaggio famoso viene intervistato per parlare di aria fritta. Una di quelle catene che agli occhi di chi le frequenti sia presentano di un pulito asettico, dove i dipendenti sorridono per pura cortesia e si guardano gli un gli altri con espressioni neutre.
Le assunzioni passano attraverso una società interinale con sede nel Lazio e filiale in Sardegna: il dipendente può anche avere un contratto a tempo indeterminato, ma resta uno strumento preso a nolo. Ho conosciuto la storia di uno di loro. Il contratto prevede le canoniche 160 ore mensili, pagate 5,90 euro lorde l’una. Fate voi i calcoli sull’importo della busta paga.
Essere trattenuti oltre l’orario di lavoro è la regola. Se si mugugna o si discute, arriva immediatamente la lettera di richiamo per indisciplina. Arriva, la nota di richiamo, anche se si risponde ad un superiore maleducato e abituato ad insultare i subordinati, si finisce sotto indagine pure dopo avere sbottato perché esasperati dall’ennesima provocazione. Non bisogna attendersi solidarietà dai colleghi, sottoposti a pressioni che travalicano nell’intimidazione e alla costante minaccia di una riduzione del personale. I contratti specificano la sede di lavoro. Ma se uno finisce nel mirino del capo del personale, cercano di estorcergli la firma ad una modifica del contratto che dispone il suo spostamento ad altra sede, magari lontana decine di chilometri. Un modo per spingere chi non accetta certe condizioni ad andarsene. Neppure un minimo di dissenso è ammesso. Le giornate trascorrono così, una dopo l’altra. C’è chi non ce la fa e c’è chi è costretto ad inghiottire tutto per quelle poche centinaia di euro al mese, accettando una vita di merda. A me che un sindacalista possa guadagnare tanti soldi non scandalizza. Anzi, sono sicuro che chi per professione combatte per migliori condizioni di lavoro debba percepire paghe adeguate. Mi scandalizza, invece, che decenni di conquiste vengano accantonati nel silenzio, mi scandalizza che storie come quelle che ho raccontato accadano. Mentre il magazine patinato all’ingresso vi racconta la vita perfetta del vip del mese.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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