Il varco temporale si aprì in una mattina romana, mi sembra di prima estate, del 1978. Voi pensate che sia un viaggio da paura. Invece no, avete l’idea distorta di certi libracci o di certi film. I salti nel tempo sono roba tranquilla: non sapete come e perché e all’improvviso vi trovate un bel po’ indietro nella vostra vita. Sia chiaro: nella vostra vita. Perché ancora più indietro non si può. Io, almeno, non ci sono mai riuscito. Può capitare per i motivi più strani. Una volta, a esempio, mi è accaduto con un numero di Tiramolla. Cos’è? E’ un fumetto che tirava molto negli anni Cinquanta. Insieme a Cucciolo voleva essere una sorta di concorrenza italiana a Topolino. Io li colleziono, insieme a un mucchio di altra cartaccia. Una volta ho aperto un pacco di giornalini che avevo appena ritirato dalle poste e il primo era un Tiramolla la cui copertina mi ha catapultato nel divano letto della camera da pranzo-salotto dove ho dormito sino a undici anni, quando abbiamo cambiato casa e ho avuto una stanza tutta mia. Avevo l’influenza, tosse, mal di gola. Felice come una pasqua. Quattro figli: i vizi andavano distribuiti e se uno si ammalava ne aveva quindi una razione supplementare. Tra le coperte, circondato da giornalini e in mano avevo proprio quello che mi aveva fatto varcare il tempo. La prima storia parlava di un’avventura di Tiramolla con Cucciolo e Beppe nel Mar dei Sargassi, lo ricordo bene. Ma non pensiate che fosse un ricordo. Come volete che dopo una vita io possa ricordare di una mattina a letto che leggevo quel giornalino? Sono proprio tornato indietro nel tempo, ero lì, incarnato in quel bambino felice. Poi ho fatto l’errore che in questi casi non bisogna mai fare. Mettersi a pensare superando il momento per momento, tentando i graduali ritorni al futuro, facando questo tipo di ragionamento: “Bene, sono tornato indietro, ora potrò rimediare a molte cose. Dunque, fra otto mesi non commetterò l’errore di… e fra cinque anni a quella non le dirò così ma cosà e fra sette anni al professor Taldeitali invece di mandarlo affanculo gli dirò che ha ragione e che studiare la matematica rende più completo ogni tipo di formazione culturale e …”. Grave errore: al quarto proponimento si riapre il varco temporale e tornate al presente. Niente sliding doors nei viaggi nel tempo. Allora, dicevamo di quell’altro salto temporale nel 1978. Ne parlo ora perché Scola è già sepolto e ampiamente pianto e io non lo devo piangere, adesso, ma soltanto parlare di una cosa in cui non c’entra. Ero a Roma e trovo un collega che veniva anche lui dalla Sardegna. Avevamo tutti e due già finito di fare quello che dovevamo fare e gironzolavamo in attesa dell’ora di ripartire. -Accompagnami da una mia zia, devo portarle queste seadas, poi pranziamo insieme e andiamo in aeroporto. Saliamo su un taxi e mi porta in un quartiere che non conoscevo. Scendiamo davanti al portone di un grande palazzo. -Faccio in un attimo. Sali o mi aspetti? -Se ti sbrighi ti aspetto. -Bene. Hai visto “Una giornata particolare”? -Sì. -Entra nel palazzo qui a fianco, avrai una sorpresa. Non c’è stato bisogno di altre spiegazioni. Ho guardato il caseggiato dove era entrato il mio amico, gemello di quello a fianco e ho riconosciuto subito il set del film di Scola. Ho fatto pochi passi sino all’altro ingresso di via XXI Aprile, sono entrato senza che nessuno mi fermasse. Non c’era nessuno, a dire il vero: il cortile, l’androne, le grandi scale, tutto deserto, né portinai né inquilini. Non c’erano Mastroianni, né la Loren nel ruolo più erotico e sensuale in cui mi sia mai capitato di vederla (e i cinefili mi compatiscano per questa visione del tutto marginale della sua interpretazione), non c’era la folla di fez incolonnati ad accogliere Hitler. Ho fatto un piano di scale, poi mi sono appoggiato alla vetrata che dava sul cortile, le ho dato le spalle e guardato uno dei portoncini d’ingresso. E a questo punto ho cominciato a viaggiare. Voi pensate che le scale si siano riempite e mi sia trovato comparsa in camicia nera nel film di Scola? Non dite stupidaggini. Il salto nel tempo è stato molto più breve, perché sono tornato indietro soltanto di sedici anni. Però ho fatto anche un salto nello spazio, perché sono tornato nella mia città. Prima media. Bella greffa di amici. Uno di loro abitava in un palazzone dell’epoca fascista. Razionalista, come quello di Scola. Tra un piano e l’altro c’erano dei “mezzi piani” con locali chiusi da porte a vetri, di quei vetri antichi, zigrinati. Si usavano credo come fossero cantine o soffitte, per le cose inutili. I genitori del mio amico glielo avevano concesso in uso e noi vivevamo il brivido di avere un locale tutto nostro dove giocare, chiacchierare, nascondere i tappini e le targhette che rubavamo dalle automobili (spero sia caduto in prescrizione) e cominciare a pensare di organizzare qualche festicciola con giradischi. Era la prima volta che conoscevo uno spazio di divertimento diverso dalla strada, altro spazio peraltro dove mi divertivo moltissimo. Nel palazzo c’era anche un ascensore. Di quelli a gabbia, con le porticine di legno. Ogni partenza e ogni arrivo era un ululato, un pianto di prefiche. Era tassativo non entrarci in più di due o tre. Anzi, gli inquilini non c’entravano per niente perché non si fidavano. Quel giorno in cui varcai il tempo, noi ci entrammo in dieci. Ci stiamo un po’ stretti. Siamo ancora piccoli ma tanti. E così la cabina, con un ultimo terrificante gemito, si ferma e ci intrappola. Grandi risate, un po’ di paura per l’imminente cazziatone dei genitori del nostro ospite, quando all’improvviso ci accorgiamo che uno di noi, proprio il più grande e coraggioso, è svenuto. Claustrofobia. Arrivano i vigili del fuoco, ci tirano fuori e la madre del nostro amico avvicina un bicchierino di liquore alle labbra del ragazzo che sta male. Dopo un sorso lui si riprende e svuota avido il bicchierino. Io osservo la scena con malcelato interesse. Il liquore, come le sigarette, è una cosa proibita che mi piace un sacco ma è difficile da ottenere. Ho un’idea, mi guardo intorno barcollando, grido -Mi sento male! E mi butto sul pavimento del pianerottolo. La madre del mio amico mi guarda preoccupata, poi osserva pensierosa il bicchierino vuoto che ha ancora in mano e scoppia a ridere. Mi fa rialzare con un calcetto gentile, ci fa entrare tutti in casa, porta un vassoio con dei bicchierini e ne riempie i fondi con un velo, solo un velo, di liquore. Mi porge il mio e dice ridendo -Solo questa volta, delinquenti che siete. E poi in un lampo sono tornato a Roma, nel 1978, nel palazzo di Scola. Che cosa c’entra Scola? Nulla, ve l’ho detto.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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