L’aereo ci passa prima sopra, quasi a sfiorarlo, questo vulcano collassato, le falde rimaste miracolosamente in piedi a picco sull’acqua e,al centro, il “buco” blu della “Caldera”, dove l’acqua ha preso il posto del fuoco. Su quello che è rimasto della terra emersa l’uomo si è aggrappato, punteggiando la falesia rossa di piccoli grappoli bianchi, case, una sopra l’altra, piccole e incastrate in un dedalo di vicoli a terrazza. Guardo dal finestrino cercando un punto piano, dove questo grosso affare possa posare il suo carrello e restituirci alla terra, senza danni. Forse anche il pilota cerca quel punto, perplesso. Vira, gira intorno ad un altro grappolo bianco sfiorando la falesia e plana verso il mare, poi all’improvviso, davanti, una piana inaspettata, disegnata a rettangoli di muretti a secco pieni di viti basse affogate nella terra color di polvere. Come un lembo di terra, la coda di un mantello, che il vulcano, nella sua foga distruttrice, ha lasciato lì, a far spazio alle vigne riarse e a questa striscia di cemento dove il bestione si posa di colpo e frena, giusto qualche metro prima che il mare ricominci. Qui. A due ore e mezza da Malpensa, a quasi tre da Berlino. In mezzo al mare, Grecia, Europa. Vassily chiede 20 euro, cash please, per portarci su, verso i grappoli bianchi. La strada, prima di iniziare la salita, passa in mezzo alle vigne, le viti basse che sembrano piante di anguria, quasi a cercare riparo dal Meltemi, il vento del nord che qui soffia quasi fisso. Guida una grossa auto tedesca, Vassily, un’auto abituata alle “autobahn” teutoniche che qui sembra a disagio mentre si inerpica nelle curve a ridosso del costone vulcanico. Guida e continua a prendere chiamate di clienti al cellulare. E’ giugno ma c’è già la calca dell’invasione estiva, e tutto sembra più stretto. Mentre aspettiamo di entrare tra le casine bianche viste sulle copertine, ho il tempo di guardare fuori, tra pietre e campagna brulla. Qui la mano dell’uomo non è stata propriamente guidata da un designer da rivista patinata. Ci sono qua e là scheletri incompleti di costruzioni sparse, quadrate, con il tetto bombato, pilastri accennati e blocchetti di cemento a vista, lasciati lì, a metà, nella foga di una crescita del business turistico in un territorio già saturo. L’isola non ce l’ha fatta, è esplosa di brufoli cementizi, a maculare una pelle fragile. Lungo la stretta statale, prima dell’ingresso alle bianche viuzze a terrazza e ai gradoni abbarbicati dove il mezzo teutonico non passerà, passiamo in mezzo a file di piccoli autonoleggi e moto noleggi dalle insegne colorate e fuori luogo che espongono utilitarie dalla vernice già consumata da sole e salsedine e decine di Quad, mostri a quattro ruote pronti a regalare sensazioni di libertà a ragazzi bianchicci del Nord Europa consumando quel che resta di un asfalto fragile che sembra appoggiato sul terreno di sabbia. Ma Vassily ci crede poco a quella libertà, anche se da quello vive. – Qui fra un po’ non ci muoveremo più, sarà tutta una coda fino a settembre. Però va bene, si vive di questo qui, non si sente la crisi. Dice, in un inglese corretto che confonde solo la th con la sc. Viene da Salonicco, Vassily. – Lì è tutto morto. Dice. – Siamo in molti a stare qui, sulle isole, per la stagione. Tanti da Atene. Cameriere, autista, va bene. Facevo il contabile, per una azienda multinazionale. Ha chiuso. Mentre mi chiede cosa ne penso di Tsipras e della crisi, siamo già arrivati a destinazione, e non faccio in tempo a rispondere, o forse non voglio o non so. Sorrido, non dico nulla, gli dò una pacca sulla spalla e gli stringo la mano. Trascinando i piccoli trolley entriamo nel paradiso silenzioso delle viuzze di Imerovigli, le case bianche scavate nella roccia vulcanica, respiriamo il mare e l’aria pulita e perdiamo lo sguardo nell’abbraccio della Caldera. Siamo dentro la copertina patinata del catalogo. Qui è davvero tutto così. Seduti davanti al paradiso, tolgo le scarpe e stendo le gambe. Bevo un bianco, fresco, fatto da quelle viti strappate alla sabbia e penso. Penso alla mia Sardegna, due ore e mezza lontano da qui, che si prepara all’estate. Penso alle sue copertine patinate, ai suoi muretti a secco, alle viti forti radicate tra i graniti, al maestrale che le piegherà. Penso a scheletri di Resort di lusso iniziati e mai finiti, all’avanzata del cemento sulle coste, alle file di auto lungo le spiagge, al l’invasione annuale dei Suv, delle moto, dei camper, delle auto cariche di popolo ciabattante, degli aerei low e hight cost. Arriveranno in tanti, come me qui. Forse alla fine riusciranno a togliersi le scarpe davanti al mare, sentendo sotto i piedi il calore del giorno che sta lasciando le consegne al tramonto, respireranno l’aria fresca che sa di mare e lentisco e terranno tra le mani un Vermentino fresco. E qualcuno scriverà che, anche quest’anno, forse forse la crisi non c’è. Va tutto bene. Penso a Vassily e alla risposta che non gli ho dato. Forza Vassily, va tutto bene, come da noi. Italiani, Sardi, Greci: una faccia, una razza.
Giovanni Cubeddu
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
Un rider non si guarda in faccia (di Cosimo Filigheddu)
Ciao a Franco dei “ricchi e poveri”. (di Giampaolo Cassitta)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.021 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design