Mi capitò con Angelo, il nostro fotografo, di dovere spiare qualcosa che avveniva in un istituto statale, superando almeno con lo sguardo le alte mura di cinta che lo proteggevano. Scegliemmo il più alto dei palazzi che lo circondavano e pigiammo sul bottone più alto dell’ascensore. Ci aprì una signora piuttosto bella e senza lasciarci il tempo di parlare ci rimproverò-Perché salite direttamente? Lo sapete che prima dovete citofonare!Io, un po’ stupito per quella regola condominiale, cominciai a spiegare-Signora, se ha una finestra che dà su via X, noi per cortesia dovremmo…Ma lei continuò indispettita-E poi, insieme no! L’altro aspetta. E fuori del portone.Mi girai smarrito verso Angelo e vidi che lui aveva capito. Siccome Angelo sorrideva in quel particolare modo soltanto quando c’era in aria qualcosa di cochon, si accese la lampadina pure a me. E mentre mi sentivo avvampare in viso, mi affrettai a chiarire-No, signora, guardi che c’è un equivoco. Noi siamo giornalisti e ci servirebbe fare delle foto da una sua finestra.Fu come se le avessi strappato le vesti lasciandola nuda. Deposto l’abito della donna sicura di sé, costretta a difendersi da clienti spesso aggressivi, provava vergogna più di quanto io provassi imbarazzo. Era stata in un attimo tolta dal mondo chiuso dell’appartamento dove si ricevevano uomini e portata a quello del negozio dove si atteggiava a brava massaia e moglie fedele, a quello dove conversava alla pari con una vicina di banco a messa, a quello dove in un fila delle poste lei era una persona perbene come tutte le altre.Trascinata per un equivoco in questo mondo rispettabile dove lei si vestiva di rispettabilità, ma ora nuda, perché noi conoscevamo il suo mestiere.La rividi casualmente poco tempo dopo in pretura penale (ancora esisteva), dove ogni giorno davo un’occhiata alla ricerca di notizie. Aveva accusato il suo protettore di averla massacrata di botte, si vedeva, ed era lì per rimettere la querela, sottoponendosi alle domande del pretore che non si rassegnava a lasciarsi sfuggire quel farabutto. Lei rispondeva a occhi bassi, umiliandosi perché si dava della visionaria, inventava di avere accusato l’uomo perché era gelosa di lui, diceva di essersi procurata quelle lesioni in una zuffa con un’amica di cui però non voleva fare il nome. E tutto questo sotto lo sguardo irato e addolorato del magistrato e quello compiaciuto del protettore seduto accanto al suo avvocato.Dopo, l’avvicinai e mi riconobbe. Le strinsi la mano che mi aveva porto timida.Io ero lo stesso coglioncello che qualche mese prima non aveva capito subito in quale casa fosse capitato. E quindi le chiesi.-Ma perché permette a quel delinquente di trattarla così?-Scusi, devo andare a prendere mia figlia a scuola.Non so se fosse vero che doveva andare a prenderla, ma aveva un figlia. Ed era quella la risposta alla mia domanda.Girò le spalle e non la vidi più.Quella era una casa chiusa. Non pagava le tasse allo Stato ma era un perfetto esempio di che cosa sia una donna in una casa chiusa, che sia legale o meno.E questo è ciò che penso della proposta di Salvini. Vergogna, come allora.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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