Appena il vecchio si siede sulla panchina, è preso d’assalto dai piccioni. Il vecchio ancora non ha tirato fuori le briciole di pane, ma i piccioni, per un automatismo consolidato, sanno che lo farà, o almeno lo sperano.
Negli anni 60’ lo Stato, dopo un lungo confronto con la Regione Sarda, decise di stanziare i fondi per il cosiddetto Piano di Rinascita, il primo.
Subito i piccioni si accalcarono per intercettare quei fondi. Le pressioni degli ambienti imprenditoriali sullo Stato si moltiplicarono, all’interno di quell’amalgama scabroso che non faceva più differenza tra gli uni e gli altri, tra imprenditori e governanti.
Ma anche ambienti politici legati ai partiti e sindacati operai e di sinistra, non si opposero a quello squilibrato modello di sviluppo che privilegiava, in modo deformato, la grande industria impattante e inquinante.
Si pensava, infatti, allora, con una malintesa ideologia, che dal mondo operaio sarebbe venuto il riscatto, la coscienza civile, la lotta di classe.
L’equazione allora era: più industrie, più operai, più lotta di classe, più civiltà.
E così disonesti e onesti si strinsero in un patto, in una direzione sociale ed economica univoca, la stessa che oggi ha lasciato in eredità disoccupati e cassintegrati, ma soprattutto falde inquinate, sostanze tossiche nella terra e nell’aria, leucemie, tumori, malattie in quantità di cui, ancora, si teme di parlarne.
La Sardegna ha pagato un prezzo molto alto all’industrializzazione del dopoguerra, essendo stata destinata come sede di una parte molto cospicua delle industrie più ingombranti, energivore e inquinanti del paese.
Per non parlare delle servitù militari, quasi interamente a carico della Sardegna.
Tuttavia la Sardegna, grazie alla sua estensione, mantiene vaste aree relativamente integre, che non andrebbero confuse con quelle inquinate, per non aggiungere al danno la beffa.
In questi giorni, infatti, è in corso una polemica tra organi di informazione, associazioni ambientaliste e di categoria, Regione Sarda.
L’oggetto del contendere sono le cifre delle aree inquinate in Sardegna.
Per l’Unione Sarda la Sardegna sarebbe la regione più inquinata d’Italia, sulla base di una delimitazione del Ministero, il SIN, il sito di interesse nazionale. A ruota diversi ambientalisti, con accezioni diverse, hanno accompagnato questa tesi.
Le associazioni di categoria, allarmate per il rischio di vedere vanificati sforzi e investimenti nell’ambito del turismo e dell’agricoltura, hanno reagito con durezza.
Più timidamente la Regione ha smentito, ufficialmente, quei dati e quelle cifre.
La discussione si è incanalata, dunque, tra coloro che si ritengono paladini della lotta all’omertà, ovvero che denunciano con coraggio, e senza peli sulla lingua, la drammatica realtà, e coloro che, a loro volta, si ritengono i paladini della realtà produttiva dell’isola, coloro che con coraggio e mille difficoltà spingono la carretta di una economia disastrata, e che verrebbero danneggiati nell’immagine dai soliti allarmisti in cerca di visibilità mediatica, pubblicità, e magari anche qualche poltrona, con danni enormi per una regione già in ginocchio.
Vorrei provare a ragionare fuori da questi schemi, se è possibile.
Le cifre che si considerano inquinate coincidono con i confini amministrativi del SIN, l’area di interesse nazionale per le bonifiche. In Sardegna, dopo la vergognosa e scandalosa dismissione, ad opera del Governo Monti, del sito de La Maddalena, sono rimasti i due siti di Porto Torres e del Sulcis, che rappresentano un quinto del territorio della Sardegna.
Questi siti comprendono le aree amministrative dei comuni interessati ad una vasta area che potrebbe essere interessata dalle bonifiche, non le aree inquinate.
E’ una distinzione non da poco.
Dire che tutta questa area è inquinata, significa mettere sullo stesso piano le case di Porto Vesme o di Sarroch, con le villette che si trovano a Chia o al Forte Village, oppure Portoscuso o la discarica della Glencore con i boschi di Gutturumannu, di Monte Arcosu o delle dune di Piscinas.
Se voi prendete la carta geografica, il SIN del Sulcis Iglesiente Guspinese comprende i territori pressappoco all’interno di una linea che va dalla base del Golfo di Oristano allo Stagno di S.Gilla.
Tuttavia, è chiaro che l’inquinamento, spesso, si espande nell’acqua e nell’aria, e quindi non si può limitare alle sole aree dove esso viene riscontrato.
Per cui, secondo una teoria di pensiero ambientalista, è vero che non si può definire inquinato tutto quel pezzo di Sardegna, sarebbe assurdo e ridicolo, tuttavia, in considerazione della tendenza dell’inquinamento ad espandersi, si può ipotizzare comunque che quella ampiezza ne possa, un po’ a casaccio, ricomprendere in qualche modo gli effetti nocivi.
Questo può essere utile per ampliare il raggio di azione delle eventuali bonifiche, se e quando il Ministero stanzierà i fondi.
Io, a dire il vero, non sono molto convinto di questa cosa.
A parte che mi rattrista molto mettere sullo stesso piano, magari rivendicando dei finanziamenti, i paesi con drammatici problemi, si pensi ai bambini ai quali è stato riscontrato il piombo nel sangue, con paesi che, in realtà, non hanno gli stessi problemi.
Ma temo che ci sia dell’altro.
Secondo Codonesu, infatti, sindaco di Villaputzu, i comuni, in previsione dei finanziamenti, hanno fatto a gara per entrare nel business delle bonifiche, facendosi inserire nel sito.
Migaleddu, medico dell’Isde, invece, sospetta che quella sproporzione è dovuta ad una “furbata” del Ministero, che così facendo ha diluito i dati epidemiologici.
In pratica, si fa una media dei casi riscontrati a Portoscuso con quelli riscontrati a Narcao, e ne esce fuori una casistica dei casi patologici che è diluita. Et voilà, sparito il cancro.
Ma, in buona fede, molti di noi sono convinti che, denunciando il fatto che la Sardegna sia “la regione più inquinata d’Italia” sulla base di questo dato burocratico, si possano ottenere dei risultati.
Magari maggiore attenzione da parte delle istituzioni, e premere sul Ministero per i fondi delle bonifiche.
Tuttavia, portare Sant’Anna Arresi o Fluminimaggiore come casi di inquinamento, siamo sicuri che possa essere utile alla causa?
Chiaro che poi la Saras ci fa il paginone pubblicitario sull’Unione Sarda accusando i sardi di essere chiacchieroni, con tanto di bla bla bla per sfottere.
Si dirà, giustamente, che il veleno corre silenzioso e invisibile, e non è il paesaggio ameno a distinguere una zona inquinata da una meno.
Tuttavia, è chiaro che per definire una zona inquinata non basta un confine amministrativo, ma serie analisi e contestuali elaborazioni di dati. Ribaltando l’idea, sarebbe assurdo pensare che l’inquinamento possa essere fermato da un confine amministrativo sulla carta.
Quindi non saprei: comprendo l’esigenza della notizia, della denuncia, e anche l’umana debolezza di apparire in una intervista, però temo, forse maggiormente, l’approccio approssimativo, dove tutto è inquinato e quindi niente è inquinato, alimentando il rischio che le bonifiche diventino un nuovo piano di rinascita, con i piccioni pronti a intercettare i finanziamenti, e che, in luogo di risanare le falde acquifere, si facciano giardinetti e marciapiedi in stile IGEA, l’ente creato dalla Regione per fare le bonifiche nelle aree minerarie dismesse e che ha fatto tutt’altro, come le inchieste giudiziarie di questi giorni ci rammentano.
Condivido, sotto questo profilo, il richiamo che da più parti è stato fatto alla Regione Sarda, di attivarsi sul fronte di una eventuale richiesta di riperimetrazione.
E aggiungo che molto male fa la Regione Sarda a non dare la sensazione, diciamo, di attivarsi sul fronte di questo drammatico problema, a prescindere dal balletto dei numeri e delle cifre che, mi pare, inizia a diventare un esercizio un po’ sterile.
Ci sarebbe, invece, da aprire una grande vertenza su questo fronte, una stagione epocale di confronto con lo Stato, presentandosi con una definizione chiara delle aree interessate e delle cose da fare, scongiurando il rischio che i fondi per le bonifiche, se e quando arriveranno, si tramutino, ancora una volta, in una pioggia a fondo perduto che vada ad alimentare le aziende degli amici e l’assistenzialismo, senza beneficio alcuno.
Perché ho la sensazione che i piccioni si stiano già muovendo.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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