Pochi giorni fa ricorreva l’anniversario della nascita di un poeta sardo dell’800, Peppino Mereu. Per l’occasione abbiamo voluto ricordarlo con questo articolo, Peppino Mereu che ha avuto un successo di visualizzazioni particolarmente significativo. Sul sito infatti ha totalizzato qualcosa come 25 mila visualizzazioni. L’attenzione, nel nostro sito, verso questo poeta sardo dell’800 è stata superiore alla risonanza per la morte di un grande personaggio della cultura popolare come David Bowie e addirittura alla celebrazione per l’anniversario della morte di Fabrizio De Andre (anche se di poco), personaggio molto amato in tutta Italia e a maggior ragione in Sardegna (dove provengono circa il 70 % dei nostri lettori) in quanto, di fatto, considerato un “sardo” adottivo. Questi numeri aiutano a comprendere quanto la cultura sarda, incarnata, in questo caso, da un poeta dell’800, ben lontano quindi dalle luci della ribalta che può avere un cantante rock o pop, possa avere nell’immaginario collettivo dei sardi. Scrivo queste righe dunque per sottolineare questo fatto piuttosto originale: di solito la cultura viene sostenuta dalle istituzioni in quanto suscettive di produrre crescita umana e sociale nella popolazione. Qui ci ritroviamo di fronte, invece, ad una cultura locale che è talmente reietta da essere invocata a gran voce dal basso. Questa richiesta di cultura, che sia il richiamo ad una maggiore attenzione per il nostro patrimonio archeologico, piuttosto maltrattato e trascurato, o la rievocazione di poeti le cui parole vengono tramandate per via popolare, dimostra come, al netto di rivendicazioni demagogiche e populiste, vi sia una reale esigenza di riscoprire le radici, a lungo soffocate, della cultura sarda. La proposta che rilancio, consapevole della sua non assoluta originalità, è quella di una Accademia della Lingua e della Letteratura sarda. In Sardegna esistono università e centri filologici che studiano il patrimonio letterario sardo, sia in lingua sarda che in lingua italiana. Tuttavia credo che la Regione si debba fare carico di istituire una vera e propria scuola e centro di studi e di ricerche, sul modelle dell’Isre, l’Istituto regionale etnografico, che peraltro ha aperto, in questi giorni, un bellissimo museo a Nuoro. La Sardegna, oltre ad una lingua soffocata dalla modernità e penalizzata dal suo quasi nullo utilizzo scolastico, vanta una grande tradizione poetica, tanto che ancora oggi gli improvvisatori si sfidano nelle piazze nelle gare estemporanee. Guardate che queste sono cose di una potenza culturale enorme, di cui non ci rendiamo perfettamente conto. Ora lingua e letteratura sarda scompaiono come “lacrime nella pioggia.” Ma è normale? L’Accademia della Lingua e della Letteratura Sarda non costerebbe neppure tanto: di stabili la Regione ne ha a iosa, così come molti comuni farebbero a gara per offrire il loro supporto logistico. Penso anche che potrebbe arrivare qualche finanziamento europeo, o qualche sponsorizzazione. Si potrebbe dare da lavorare a decine di giovani specializzati in storia, filologia, antropologia, linguistica, letteratura, incentivando così lo studio e dando una speranza a dei giovani studiosi che ora non sanno dove sbattere la testa. Penso ad una sezione linguistica che studi la lingua sarda, con una sezione staccata che si occupi delle parlate del nord Sardegna, come il gallurese, magari mediante un centro studi internazionale con la Corsica, con la quale vi sono affinità linguistiche notevoli. Penso dunque ad un abbinamento tra lingua sarda e letteratura. Perché? Perché sono del parere che solo l’arte, e la letteratura, in questo momento, possano recuperare la lingua sarda. Far morire una lingua, che si è evoluta nei secoli, è un delitto orrendo di cui, noi sardi, siamo responsabili per primi. Certo, lo Stato italiano nella sua storia, con il toscano eletto a lingua nazionale, ha soffocato le altre lingue regionali, in particolare il sardo e il friulano che sono quelle che spiccano sul piano linguistico. Tuttavia nessuno ci vieta di insegnare il sardo nelle scuole. Nessuno ci vieta di investire in lingua e letteratura sarda. La Sardegna, ad esempio, nel corso della sua storia ha investito in modo davvero pregevole e meritorio nell’ambiente, a differenza di altre regioni, sostituendosi, spesso a spese proprie, allo Stato. Lo stesso non si può dire con la cultura. Se l’Italia, linguisticamente parlando, ha una colpa storica, la Sardegna ha una colpa attuale, sociale e politica. In Sardegna ci lamentiamo molto, e giustamente, delle ingiustizie subite dallo Stato. Io sono il primo a sottolinearle. Ma troppo comodamente diventa un pretesto buono per tutto. A Napoli hanno subito lo stesso trattamento linguistico che ha subito la Sardegna, uguale e identico. Eppure, lì, nessuno si lamenta. Perché? Per un semplice motivo: perché alcune forme di arte, come la canzone popolare o la commedia teatrale, scritte in napoletano, sono conosciute in tutto il modo e continuano a correre e ad avere uno straordinario successo mondiale. Arte e letteratura consentono la sopravvivenza e la valorizzazione del napoletano. Ecco perché ritengo che per evitare il delitto orrendo, di cui tutti ne saremo responsabili, di uccidere la lingua sarda, può aiutare abbinarla alla poesia, alla letteratura, alla musica e all’arte in genere. Lingua e letteratura possono aiutarsi a vicenda. Senza alzare steccati, come spesso sento fare, contro i sardi “rei” di avere scritto in italiano. La cultura è cultura e non deve avere barriere, e le opere dei sardi in italiano vanno studiate e valorizzate. Magari traducendole in sardo. Cosa ci impedisce di avere dunque un centro moderno, che studi e incentivi l’uso della lingua sarda e di valorizzare poeti e scrittori di grande levatura? Niente. Non ce lo impedisce niente e nessuno. Almeno in teoria.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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