Vittorio Bachelet nacque il 20 di febbraio di 90 anni fa (1926). Otto giorni prima che compisse 54 anni, il 12 febbraio del 1980, venne ucciso a colpi di pistola dai terroristi rossi Anna Laura Braghetti e Bruno Seghetti. Bachelet si occupava di diritto del lavoro, come Marco Biagi e Massimo d’Antona, uccisi qualche lustro più tardi. Era un cattolico, un politico, un docente universitario e sicuramente aveva rappresentato un punto di riferimento, per gli amici e i nemici, in quella cosa strana che era l’Italia degli anni Settanta. Se siete degli esperti di quel periodo o vi intendete di diritto del lavoro potete anche non leggere quest’agenda. Non ho nessuna riflessione da fare sul conflitto di classe, sul capitale, sul salario, sul rapporto tra rivoluzione e riforma. Però quella stagione degli anni di piombo mi ha sempre dato l’idea che se ne potesse uscire solo in un modo, con la fine della lotta armata. Non c’era nessuna possibilità di spostare l’Italia dalla sua storia di paese dell’Occidente Europeo. Anzi, ho sempre avuto la sensazione che la lotta armata sia solo servita, a conti fatti, a rallentare la crescita civile dell’Italia all’interno di quel percorso, a rafforzare la reazione e la conservazione. Infatti, senza smettere di essere un paese democristiano, nel giro di pochi anni siamo diventati un paese Berlusconiano. Sull’oggi non mi esprimo, perché ho un po’ perso l’orientamento. Non so voi. Tornando a Bachelet, sarà che tra i miei tanti limiti c’è che non riesco neanche ad immaginare di premere un grilletto o far scattare un detonatore per togliere la vita ad altri esseri umani. Credo che avrei difficoltà anche in situazioni estreme, che mi prenderebbe “l’ansia di Piero”, quella raccontata da De Andrè, che porta un uomo a riconoscere un altro uomo anche sotto una divisa nemica. Quella che, quando “si arrende la pace”, può essere fatale a chi tentenna. E sarà pure che il giorno in cui Bachelet venne assassinato, mio padre mi raccontò che qualche anno prima, quando io ero in fasce, Bachelet era venuto a La Maddalena per un convegno. Mi disse che prima di riprendere il traghetto, passeggiando al porto, aveva salutato i miei genitori e aveva allungato una mano verso di me, facendomi una carezza. E nulla, sono di parte: ho sempre pensato che quel giorno sia stato ammazzato un uomo gentile.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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