Tre ore e mezzo per duecento chilometri, più o meno. E non per unire due luoghi qualsiasi. Uno è Cagliari, ufficialmente città metropolitana, cioè recipiente di risorse pubbliche a beneficio dell’intero territorio, che dovrebbe essere l’intera isola stando ai discorsi che si sentivano quando la promozione era in cammino; l’altro è Sassari, capoluogo declinante di un territorio in crisi, ormai incapace persino di esprimere rivendicazioni, nelle mani di una classe dirigente trasversalmente legata a interessi localmente deboli e principalmente lontani da queste zone. Le tre ore e mezzo sono quelle che ci impiega il treno. Uno dei simboli principali del fallimento di chi ha governato la Regione negli ultimi decenni. Per anni abbiamo votato donne e uomini che non sono stati capaci di fare diventare la Sardegna Italia annullando il divario dei costi energetici, creando con il resto del Paese collegamenti frequenti dai costi parificati a quelli nazionali e legando tra loro i territori dell’isola in una rete moderna di trasporti. Nel 2018 per spostarsi in treno tra le due città maggiori dell’isola ci vogliono tre ore e mezza. Poco meno della media di cinquant’anni fa. Si sono spesi un mucchio di quattrini per comprare nuovi treni che non possono viaggiare sui binari vecchi. I binari vecchi bisognava rifarli alcuni anni fa con i fondi stanziati dalla giunta Soru, ma il presidente Cappellacci li dirottò sul trasporto gommato, la Sassari-Olbia. Quest’ultima è ancora incompleta e non si hanno notizie credibili sul suo futuro, mentre la rete ferroviaria è sempre quella vecchia. Tutte le promesse degli scorsi anni sulla riduzione dei tempi di percorrenza si sono perse in questa ridicola faccenda di Ferrari acquistate per correre su strade vicinali e sentieri agresti. Vedo la politica regionale che partecipa alle conferenze sempre più allarmate e allarmanti sul tema delle desertificazione, senza che alcun suo rappresentante arrossisca per questo fallimento, parte importante delle cause dello spopolamento di parti della Sardegna isolate e povere anche perché prive di collegamenti. Uno spopolamento tra l’altro visibile nello stesso treno, affollato nella tratta del Sud e sempre più vuoto quando risale. Situazione opposta al ritorno, naturalmente. Il Pd è soltanto l’ultimo e soltanto uno dei responsabili di questa situazione. Ma è significativo che nei rabbiosi, confusi e inconcludenti discorsi sulla botta del 4 marzo non abbia mai sentito qualcuno cercarne le cause in simili fallimenti di carattere purtroppo strutturale.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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