Via Aldo Moro, al mio paese, è una strada che parte dal centro e finisce fuori dall’abitato, campagna campagna, intersecando la circonvallazione urbana dove passa il grosso del traffico in marcia sulla statale 125. Se si attraversa l’incrocio, si finisce in mezzo ai capannoni della zona artigianale. Quell’incrocio a raso è regolato da un semaforo. Quando lo installarono, una quindicina d’anni fa, lo definirono con molto ottimismo “semaforo intelligente”. Dicevano che sapeva regolare i tempi di rosso e verde a seconda delle esigenze del momento. Il 2 settembre del 2017 quell’incrocio ha tolto la vita ad un ciclista di Sassari, Marco Garau. La sua bici si è schiantata contro un’auto che arrivava da via Aldo Moro e non ha senso né è il caso di parlare di responsabilità o colpe, fu semplicemente una tragica fatalità. Un anno dopo, per un breve periodo, il semaforo è stato disattivato e al centro della carreggiata, in mezzo all’incrocio, sono stati piantati dei paletti. Non si poteva più attraversare l’incrocio per andare in zona industriale, ma bisognava svoltare a destra e girare attorno alla prima rotatoria sulla circonvallazione, qualche centinaio di metri più avanti, per poi tornare indietro. Ci si impiegava forse un minuto. Ho sentito gente imprecare, lamentando la perdita di tempo di quel minuto in più da perdere per andare in zona artigianale, quando prima bastava aspettare il verde e tagliare l’incrocio in un secondo. Io, quando ho visto per la prima volta i paletti fissati sulla linea di mezzeria, ho pensato che se ci fossero stati, quel due settembre 2017, un ragazzo di 29 anni che correva in bicicletta non sarebbe morto. E ho immaginato che quelli che volevano bene a Marco abbiano pensato la stessa cosa. Adesso è tornato il semaforo, sull’incrocio a raso. Pare che debbano rifare l’asfalto della circonvallazione e i paletti andassero rimossi. Se le tragedie insegnano qualcosa, spero che quei paletti vengano rimessi subito dopo la fine dei lavori. Ci sarà chi imprecherà per il tempo perso all’incrocio. Poca cosa, rispetto a chi recrimina per una vita persa che poteva essere salvata con quattro pezzi di plastica in mezzo alla strada.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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