Dracula il Vampiro, quello con Christopher Lee, si manifestò a Sassari agli inizi del 1960. Al Verdi, per essere esatti, non al Moderno. Avevo otto anni. Entrai non ricordo come benché fosse un “VM 14”. Mi cagai discretamente. Cioè, a vederlo con quei canini da gatta in calore mentre eri al sicuro in loggione, te la ridevi con gli amici. Poi ricompariva nei pensieri notturni ed era un’altra cuba. Mi viene da pensarci per due motivi, oggi che a Sassari hanno inaugurato la magnifica multisala del Moderno. Il primo è che “Dracula il Vampiro”, come “Ercole e la regina di Lidia” o “Maciste nella valle dei re” seguivano un percorso lunghissimo nel tempo e nello spazio cittadino che il nuovo Moderno condenserà in pochi giorni e nello spazio dello stesso edificio. Cioè nella multisala accadrà che la prima di rilievo nella sala da 270 posti, quando non riuscirà più a riempirla, andrà in quella da 130 poltrone o in una di quelle da 60, mentre altri film ancora freschi occuperanno via via quelle più grandi. Dracula o Ercole, invece, esordivano al Verdi o al Moderno, se non al Quattro Colonne, all’Ariston o all’Astra, insomma, in un cinema della città murata o poco fuori le mura. Quando la novità non faceva più tanti incassi, scompariva per qualche mese, magari un anno, e all’improvviso te la ritrovavi al Rex o allo Smeraldo, sale del Monte dove il biglietto costava di meno. Poi scompariva per sempre, a meno che, dopo un altro annetto, non si ritentasse un altro passaggio al cinema Ferroviario, a fianco della Stazione, come dice il nome, dove mi sembra che a quei tempi il biglietto fosse di 50 lire o giù di lì. L’altro motivo è che stamane, mentre l’imprenditore (di Cagliari, ma ormai lo abbiamo adottato, anzi, lui ha adottato noi) Alessandro Murtas illustrava la sua bella creatura, io pensavo che se Bonifacio Angius un giorno dovesse girare un remake di “Dracula il Vampiro” ambientato a Sassari , io gli consiglierei di giocare su un’antropomorfizzazione di Predda Niedda. Non so se funzionerebbe sul piano artistico-espressivo o se gli spettatori si romperebbero le balle, ma la gente qui capirebbe l’audace metafora, ne sono certo. Il fatto è che questa multisala è stata investita di ruoli che appaiono quasi abnormi, che superano la missione di per sé audace di riportare la città al cinema (“Una generazione di sassaresi rimasta senza sale cinematografiche – ha detto il direttore artistico Sante Maurizi – che ora bisogna rialfabetizzare, riabituare alla visione dei film nei cinema”). Eppure sono sogni ai quali viene da credere. Due, sostanzialmente: pompare sangue al centro della città; salvarlo dalla vampirizzazione di cui è colpevole la zona commerciale di Predda Niedda. Una linea che oggi il sindaco Nicola Sanna ha riconfermato. L’aria che tira ovunque è quella di una riscossa delle città contro le non-città in cui si sono costituiti migliaia di centri commerciali extraurbani. Quello di Predda Niedda in Italia è probabilmente uno dei più minacciosi. Frutto amaro dei limiti della classe dirigente di una città in declino: ettari ed ettari urbanizzati con soldi pubblici per creare una zona industriale ben presto divenuta commerciale, creando una media intollerabile tra superfici di vendita e abitanti. Un gigantismo malato incoraggiato dalla politica e dall’industria edilizia, che ha potuto sfornare capannoni. E che ha annichilito la categoria del commercianti, un tempo componente della classe dirigente cittadina e ora travolta dalla conseguenze economiche della grande distribuzione: ma anche da quelle culturali, nel tentativo degli esercenti di imitare Predda Niedda nel loro progetto di città fatto di parcheggi davanti al negozio, di malumore verso le zone pedonali e sostanzialmente con la resa davanti al distruttivo affermarsi di una separazione tra case e negozi, la cui convivenza è invece il senso stesso dell’essere città. Davanti allo spettrale spettacolo delle città fantasma, cresce il desiderio di rivitalizzare i centri. Lo ha capito l’imprenditore di Cagliari Alessandro Murtas, già affermato nel campo del cinema e dello spettacolo, che ha deciso di investire nell’unica grande città sarda priva di multisale. E di farlo rianimando uno dei numerosi cinema cittadini che come tutti gli altri aveva chiuso i battenti. E così, nel raggio di pochi metri, in pieno centro, a cavallo della antica cinta muraria, questa zona strategica diventa protagonista di una rinascita culturale ed economica. Da oggi c’è il Moderno, con quattro sale cinematografiche, spazi multifunzionali, bar, ristoranti, attività culturali e d’estate anche attività all’aperto nell’area circostante. A pochi passi la grande ex caserma La Marmora, che diventerà sede di alloggi e strutture universitarie, e lo storico teatro Verdi , con i suoi circa mille posti, riportato a nuova vita, il teatro Civico e poi bar dall’illustre passato, ristoranti e antiche librerie. La ristrutturazione, stupefacente per chi ricorda il vecchio Moderno, è firmata dallo studio Celata di Roma, specializzato nella realizzazione di locali cinematografici, affiancato dallo studio sassarese degli architetti Luigi Gavini e Sandro Roggio, a sua volta specializzato negli interventi in edifici storici, come di fatto è il Moderno. Il progetto è firmato da Celata, Roggio, Gavini e da Gian Vito Passaghe, con la collaborazione dell’architetto Sergio Bionda. Stamane Sandro Roggio ha ricordato il miracoloso ruolo di origine di processi virtuosi per tutta la città ricoperto negli anni Venti dell’Ottocento dalla nascita del Palazzo Civico e del suo teatro e negli anni Ottanta dello stesso secolo dall’edificio più amato dai sassaresi, il teatro Verdi. E il Moderno nacque nel 1924 proprio a pochi passi dal Verdi (anzi, dalle sue rovine, un incendio lo aveva atterrato l’anno prima e risorgerà nel 1926). A Sassari, allora, progresso voleva dire anche teatro e cinema. E su questi la classe imprenditoriale investiva soldi. E’ singolare questa vocazione alla modernità del “Moderno”. Quando nacque in corso Umberto (ora il corso è diventato viale), il “Gran Cinema Sassari” venne celebrato per i suoi mille posti ma soprattutto per la sua “modernità di mezzi”, come scriveva “La Nuova Sardegna”, che parlava del buffet alla moda, della pista di pattinaggio, del palcoscenico all’aperto per il varietà e di mille altre cose in parte realizzate e in parte descritte come progetti dal direttore Roberto Pappalardo, un marchese-imprenditore che subentrerà ai Carlino nella proprietà e ben presto prenderà anche la gestione del nuovo “Verdi”. L’altra rinascita fu nel 1948. E fu talmente all’insegna della modernità che il “Gran Cinema Sassari” diventò tout court “Moderno”. Una ristrutturazione che gli diede linee e struttura talmente all’avanguardia da non mostrare segni di evidente vecchiaia sino alla fine del secolo scorso e ai primi anni del Duemila, quando a entrare in crisi non fu tanto il locale quanto il modo di proporre il cinema nei cinema. Era finita l’era delle immense sale fumose da inzeppare il sabato e la domenica persino con persone in piedi. Ed era arrivata quella delle multisale, platee più piccole ma tanti schermi nello stesso edificio dove lo spettatore può scegliere il suo prodotto preferito in un’offerta ampia e goderselo insieme a tante altre comodità. E ieri è cominciata la terza vita del Moderno, quella che si spera ridarà vita anche a Sassari.
In alto, primissimi visitatori nella più grande delle quattro sale.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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