E’ solo, in disparte. Nessun colloquio, figuriamoci a Natale. Cammina con circospezione e allunga i suoi passi quando incontra gli altri, quasi a voler scansare le parole. Qualcuno ha un pacco in mano per la cena di Natale e poi per quella di Capodanno. Gli sguardi sono veloci e quasi sereni, di quella serenità sospesa che può esistere solo in un carcere. Ci sono uomini che passano da anni le feste dietro le mura: sono i poliziotti, gli operatori, gli ergastolani e qualche detenuto con un lungo fine pena. Chi può e chi riesce trascorre le feste in permesso premio, a casa dei familiari. Oppure in qualche comunità. Il carcere è un contenitore di storie molto presto dimenticate e da dimenticare. Quando si avvicina il Natale quelle storie cominciano a ripercorrere strade ormai tralasciate e riaffiorano con occhi umidi e vicini. Il Natale, in carcere, è una festa senza addobbi, poche luci, i rumori di sempre: metallici e costanti. Eppure a viverci senti, comunque, un effetto diverso, legato soprattutto a chi rimane, a chi non riesce ad avere quel permesso, a chi non può e a chi, in ogni caso, ci deve lavorare. Kuruwita Lionel è solo, in disparte. Nessun colloquio. Ha sempre regalato piccoli sguardi e non ha mai contato i passi. Almeno così appare dai suoi leggeri movimenti. E’ un detenuto che non richiede molte attenzioni e, paradossalmente è tra quelli più a “rischio”. Sono i silenzi a soppesare gli umori in un carcere dove il Natale non è una festa normale per chi rimane tra le mura, con un freddo contorno intorno all’anima. Kuruwita Lionel è originario dello Sri-Lanka e abita vicino ad una riserva forestale in un posto che si chiama Labugama. Il suo cognome è il nome del suo villaggio, poco lontano da dove vive e tutti gli indigeni di quel villaggio hanno lo stesso cognome. Ma non le sue figlie: loro si chiamano Labugama, il nome dove sono nate e vivono. Nella foresta, non lontanissimo dalla capitale Colombo, molto lontano dai nostri luoghi, in un altrove che ricorda Salgari e le tigri di Mompracem. Quando qualcuno a Lionel ricorda la storia di Sandokan lui muove velocemente la testa. Forse capisce. Forse. Ma non sorride. Ecco, Lionel non sorride mai. E’ finito dentro perché aveva accompagnato un suo cugino, con lo stesso cognome, per ritirare dei soldi ad un italiano. La storia è andata male, finita con un accoltellamento e l’italiano è morto. Lionel si è preso dieci anni. Solo perché stava con il cugino; era da una settimana in Italia, senza permesso di soggiorno. Ha sempre int tasca le fotografie delle figlie e tra un anno, la più grande, dovrà partecipare alla festa delle quattordicenni, una festa gonfia di ghirlande e sorrisi. Chiediamo a Lionel perché non sorride. Ci risponde che non può perché non si ricorda più il sorriso delle sue bambine. Vorrebbe vederle e salutare almeno per un attimo. Potrebbe telefonare, è vero, ma non è la stessa cosa. I sorrisi non arrivano e le parole non riescono a scaldare l’anima. C’è una soluzione. Proponiamo a Lionel un viaggio: le due bambine e la madre dovranno arrivare sino a Colombo. Dalla foresta. prima a piedi, poi un pullman, sino all’ambasciata italiana. Con i documenti. Poi il contatto via skype proprio la sera di natale. Questo avviene nel carcere dove si illumina un monitor e lentamente Lionel riesce ad intravvedere le sagome delle figlie: i loro occhi, i loro vestitini bianchi, la loro voce metallica e i loro immensi sorrisi. Kuruwita Lionel è solo. Non c’è nessuno in Italia che si occupa di lui. Nessuno che lo invita sotto un albero di Natale. E’ ritornato in cella con passi lenti e misurati. Sente, dietro di lui il rumore delle chiavi. Saluta lievemente il suo compagno che ha acquistato il panettone e quando l’agente sta per chiudere la porta lui si volta e sorride. Sorride perché il mondo non è poi così grande, sorride perché il mondo non è così piccolo. Sorride perché, per un attimo la vita, quella vera, le ha regalato il sorriso delle figlie. Il sorriso di Natale.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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