Poche ore fa l’archeologo Rubens D’Oriano ha offerto una esemplare dimostrazione di come uno scienziato non debba limitarsi ad osservare, confrontare ed applicare le leggi. Un uomo di scienza, dai suoi studi e della sua esperienza, dovrebbe trarre un’essenza fondamentale, una filologia dei fatti da trasmettere a tutti, affinché quegli insegnamenti della storia possano servire per migliorare il mondo. Ci vuole coraggio, oggi, per prendere posizione sul presente, per filtrare i fatti della nostra attualità attraverso la lettura rigorosa del passato. Troppa gente è convinta che uno studioso di storia antica debba limitarsi a dire a quando risalga, a cosa servisse e chi ce lo abbia messo, proprio lì, quel dato reperto emerso dal sottosuolo. L’occasione per questa lezione è stata il convegno organizzato sabato a Olbia dall’associazione Insula Felix, presieduta dall’editore Dario Maiore. Questo incontro è servito a presentare una carta del golfo di Olbia scoperta recentemente dall’architetto Sandro Roggio e di cui non si aveva fino ad oggi alcuna notizia. La carta è stata realizzata da un certo ingegner Craveri, su incarico di casa Savoia, perché i regnanti piemontesi avessero una rappresentazione approssimativa di cosa fosse quell’Isola sperduta che era toccata loro un paio di decenni prima. Dal confronto tra le mappe satellitari di oggi e quella carta, pur con tutte le sue inevitabili imprecisioni, si sono sviluppate le osservazioni esposte negli interventi dell’architetto Roggio, degli archeologi Paola Mancini e Agostino Amucano, del geologo Giovanni Tilocca e di D’Oriano, responsabile della Soprintendenza. Rilievi tutti molto interessanti e che saranno base di partenza per ulteriori approfondimenti sull’evoluzione territoriale di questa parte di Sardegna. Però l’intervento di D’Oriano mi ha colpito, specie per la sua conclusione. Dopo una rapida ma incisiva sintesi della varie dominazioni sul golfo di Olbia, dai fenici ai cartaginesi, dai greci ai romani, D’Oriano ha concluso che la vivacità di una città in inarrestabile espansione sia proprio nella ricchezza dei tanti popoli che l’hanno attraversata, per portarvi o prelevarvi merci e conoscenza. L’ultima slide proiettata da Rubens D’Oriano, durante il suo intervento, era una foto: ambulanti di colore che vendono merce per strada, a Olbia. “Ultimamente, quando finisco le mie conferenze sono solito somministrare un pistolotto morale a chi mi ascolta: oggi il pistolotto ve lo beccate anche voi”. Il pistolotto dell’archeologo altro non era che l’invito a guardare a quegli ambulanti non come ad invasori indesiderati, ma considerandoli il presente di quella storia di migrazione e accoglienza che ha fatto grande Olbia. Per questo bisogna sapere la storia. Per questo, specie in questo momento così importante per le sorti del mondo, occorre che chi la storia la sa davvero smetta di essere solo scienziato e si metta a disposizione per sgretolare odio e pregiudizio. Anche ricorrendo a qualche pistolotto morale, per il quale oggi va il mio ringraziamento a Rubens D’Oriano.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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