Ho visto un pezzo di rivoluzione, giovedì scorso.Io, che appartengo ad un’epoca e generazione che delle rivoluzioni ha solo letto nei libri di storia. Quella che mi si è presentata davanti agli occhi è un frammento di quelle rivolte che si sono abbozzate nel caotico teatro mediorientale e che la stragrande maggioranza di noi ha visto nelle immagini televisive. Parlo del Cairo e degli avvenimenti del 25 Gennaio 2011, in cui migliaia di cittadini egiziani sono scesi in piazza contro i risultati del trentennale regime di Husni Mubarak, ovvero disoccupazione, corruzione, iniquità nella distribuzione della ricchezza che si è prodotta.
Non ero e non sono mai stata a Piazza Tahrir, ma un pezzo di quella piazza me lo sono trovato davanti in un’aula di un’università romana.
Da una parte, un signore di nome Moatamer Amin, scrittore, attivista e membro dei 50 costituzionalisti egiziani che lavorano per emendare il testo che dovrà traghettare il paese verso nuove elezioni nel 2014. Mentre cerco di afferrare il più possibile tutti gli elementi del prudente discorso del signor Amin, rumori e frasi talora sospirate, talora pronunciate ad alta voce in dialetto egiziano, mi deconcentrano. Mi volto con discrezione e vedo due donne velate, una accompagnata da un bambino. Parlano con dei giovani seduti appena dietro di loro, ma soprattutto, con un anziano dalla lunga barba che ascolta corrucciato in piedi e stringe tra le mani unamisbaha, il tradizionale rosario dei musulmani.
Anche se non capisco quello che queste persone si dicono, intuisco disapprovazione e insofferenza nelle loro teste che si scuotono. Uno dei giovani improvvisamente si alza,lascia l’aula sbattendo la porta; quando Moatamer Amin cita una cifra relativa ai morti delle insurrezioni della scorsa estate, una delle donne velate dietro di me si alza e urla “ Sei un bugiardo, bugiardo!”. Viene invitata a sedersi e dopo pochi minuti due agenti della sicurezza entrano nell’aula.
Amin prosegue cauto, riconosce che la costituzione che lui e gli altri 50 stanno elaborando a ritmi serrati non è la migliore del mondo, ma è un passo avanti; racconta di un suo amico nella fase post-rivoluzionaria, morto col cranio sfondato.
Ma questo non basta, la donna si rialza, impreca, viene invitata alla calma ma si allontana, col figlio per mano. L’anziano in piedi la sostituisce, grida “ Bugiardo, Liar!”. Moatamer Amin non riesce quasi più a parlare, quell’uomo apparentemente dimesso gli ha rubato la scena.
Si pone fine al dibattito, i due sono quasi faccia a faccia e l’anziano continua a imprecare, ora in italiano stentatissimo, ora in arabo egiziano. La sicurezza interviene per evitare che ci sia un contatto che pare imminente. Alle mie spalle uno dei ragazzi rimasti tira fuori uno striscione e urla: “ Per sapere davvero cosa succede in Egitto, parlate con noi!”. Lo striscione giallo sponsorizza il sito egittodemocratico.org.
Insieme a tutti i presenti vengo inviata dagli agenti di sicurezza a lasciare l’aula. Moatamer Amin e l’uomo anziano vengono sono scortati verso differenti uscite.
Mi ritrovo a fianco al ragazzo con lo striscione e gli chiedo che cosa vogliano rivendicare. “Rivendichiamo la legittimità del presidente Mursi, quello di Luglio è stato un colpo di stato, io sono uno dei Fratelli Musulmani!”.
La piccola folla si dirada. Dai discorsi degli organizzatori vengo a sapere l’uomo anziano con la barba e lamisbaha è l’‘alim della Moschea di Torre Angela; che nessuno poteva sapere dell’evento organizzato e che Moatamer Amin è giunto dall’Egitto in gran segreto; che l’unica spiegazione può essere stata una fuga di notizie dall’Ambasciata egiziana.
E mentre scrivo queste parole, un canale all news mi informa che piazza Tahrir è di nuovo meta di un confuso pellegrinaggio: islamisti, ultras di calcio, soldati e lacrimogeni.
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