“Anziani Maltrattati”, “Ospizio-Lager”, “Casa di Riposo Abusiva”, titoli che stordiscono e relativi video a testimoniare quei gesti feroci, frasi mortificanti lanciate su corpi fragili da parte di chi invece dovrebbe prendersene cura. Le accuse mosse sono sovente quelle di maltrattamento (art. 572 c.p.), abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.) e ancora Sequestro di Persona (art. 605 c.p.) fino all’omicidio volontario se l’operatore ha maltrattato la vittima fino a causarne il decesso.
Una ulteriore questione riguarda poi le strutture abusive. Ricoveri non abilitati per ospitare anziani anche non autosufficienti che però sono evidentemente una miniera d’oro quando si tratta di pagare le rette. Personale non qualificato, sottopagato o in numero insufficiente non possono diventare una giustificazione per spiegare una crudeltà gratuita su anime totalmente indifese.
Qualche tempo fa in TV un’intervista a un giovane operatore, grazie a lui si mise fine a tutta una serie di orrori. Ma una cosa mi colpì nelle sue parole. Non avrebbe più fatto assistenza agli anziani. Quell’esperienza lo aveva totalmente svuotato di ogni motivazione da non poter più sopportare la vista della sofferenza. Dover assistere a tanta spietatezza lo ha dilaniato.
E ancora, una figlia intervistata, sua madre morta nella struttura e a lei tutto il peso di un senso di colpa per non aver letto negli occhi la richiesta di aiuto. Raccontava che dopo tanto tempo era in terapia per rimuovere quell’angoscia che la divorava. Un’angoscia che avrebbe dovuto tormentare altri protagonisti di quella agghiacciante vicenda.
Vedere quei fotogrammi di videocamere nascoste, impregnati di atrocità, stupisce, spaventa, mortifica anche noi “spettatori”. E immedesimarsi in una vittima inerme che spera di essere strappato via da tanto dolore fisico e psichico, ci sconvolge e ci atterrisce per la paura di assistere a quell’infinitamente troppo.
Ma mi piace pensare che in un mondo perfetto…
Non era la prima volta che il signor Giovanni, ex macellaio, classe 1930 veniva insultato perché chiedeva un pezzo di carne per cena. “Le proteine” diceva. Sapeva che per la sua massa muscolare, ormai un ricordo, serviva mangiare ciò che gli aveva dato lavoro per una vita intera. Ma lì, in quella “prestigiosa” Casa di Riposo, ogni scusa era buona per essere coperti di insulti e maltrattamenti. Al suo compagno di stanza, Enrico il ciabattino, andava pure peggio. Spesso e volentieri veniva legato al letto e le sue urla venivano presto sostituite con la rassegnazione.
Rassegnazione. Era questo l’animo di quel gruppo di coetanei davanti ai loro aguzzini. Persone incaricate (e pagate) di essere tutori, di proteggere quei corpi cagionevoli. Erano mesi che gli abusi quotidiani avevano portato a una totale e generalizzata passività.
Poi l’arrivo di quel volontario. Si susseguivano ogni venti giorni quei giovani volontari ma nessuno di loro si era accorto di quanto succedesse. O forse semplicemente non volevano avere grane: venti giorni lì e poi altre destinazioni. Maurizio però era diverso. I suoi occhi scrutavano oltre ciò che si poteva vedere. Un genio del computer benvoluto dal direttore della struttura, il dottor Varelli. Il direttore aveva in mente di arrotondare mettendo su una “bisca online”, come la chiamava lui. Era il suo sogno e ora questo programmatore con un curriculum di tutto rispetto pareva arrivato dal cielo. Certo un poco strano ma com’è che li chiamano? Nerd? Poi con queste passioni di libri noir, ma so’ragazzi.
Non si sa come accadde, forse una porta socchiusa mentre dentro la stanza si perpetravano efferatezze su corpi esausti. Forse quel bagno fatto al signor Giovanni «Ci penso io» aveva detto Maurizio ai due operatori che giocavano a carte, incuranti delle lamentele del paziente. Forse quel momento di intimità tra il giovane e l’anziano, aveva fatto scattare l’intesa e il volontario aveva letto tutto il film proiettato negli occhi ormai stanchi di Giovanni. Aveva capito cosa gli stava chiedendo.
Il turno di quella sera prevedeva la presenza di due soli infermieri. Uno dei due era Maurizio, l’altro era Valerio, noto per il suo vizietto etilico. Non erano ancora le due e Valerio si era scolato un’intera bottiglia di vodka gentilmente offerta dal giovane collega. Certo era vodka corretta con un leggero sedativo ma serviva che l’infermiere non si risvegliasse mentre casualmente una corda gli avrebbe cinto la gola. Per sollevare quei 70kg erano arrivati in tre, tutti e tre canuti e magri ma con una forza e uno scintillio negli occhi che definirli “fragili” pareva un insulto.
Alle prime luci dell’alba Maurizio avvisò della scomparsa del collega «L’ho cercato ovunque» e subito si attivarono per cercare Valerio, accorse anche il direttore. In realtà quell’ubriacone si era trovato più volte a essere sorpreso addormentato nei posti più assurdi. Ma mai quando in turno era con un volontario, sapeva bene Valerio che poteva andare incontro a serie punizioni se avesse trasgredito in presenza di un esterno.
«Oh miodddio è quiiii l’ho trovato – urlò Maurizio dalla cella frigo – si è impiccato» Lo staff al completo, compreso il direttore, tra una domanda e un dubbio, entrò nella cella «Ma la porta era aperta o chiusa?» «Non può essersi impiccato qui» mentre cercavano di slegare il corpo e ancora prima di poter sollevare dei sospetti verso chiunque, sentirono il rumore sordo della porta chiudersi dall’esterno.
Non entro nei particolari di questa brutta fine. Quando le forze dell’ordine arrivarono dopo qualche tempo nella casa di Riposo “Sole Felice” solo qualche ospite era presente. Infermieri e direttore, scomparsi nel nulla. Anche Maurizio non si trovò più. Si narra però che il dottor Varelli, prima di sparire fece degli strani movimenti bancari prosciugando il conto della Residenza Sanitaria. Tanti soldi che probabilmente gli assicurarono una vita agiata all’estero. Così si diceva perché quei corpi ibernati non vennero mai ritrovati.
Anche se chiedi al signor Giovanni, classe 1930 ex macellaio, trasforma la bocca in un sorrisetto beffardo e risponde di non sapere nulla. Lo fa mentre finalmente mangia la carne.
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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