È un dittatore, Renzi? E la sua visita in Sardegna, è stata la visita di un dittatore cui è stata concessa la comoda possibilità di passeggiare su politici e rappresentanti della società civile locali stesi a terra come zerbini, asserviti oltre il limite tollerabile della decenza? Questa è una conclusione molto comune, tra gli opinionisti che hanno commentato questa missione in Sardegna del presidente del Consiglio. Per quel poco che la vita mi ha insegnato, so che non basta la solitaria determinazione di un dittatore per fare di lui un dittatore: ci vuole una folla che lo sostenga, quel desiderio di tirannia. Ci sono queste condizioni, oggi, in Italia? C’è lo stesso humus del primo novecento? Può essere. Ma, decisamente, non mi sembra l’uomo politico Renzi l’eventuale aspirazione finale di queste nostalgie autoritarie. Mi pare che una certa politica muscolare sia schierata molto più contro Renzi che con lui. Il presidente della squadra di basket che schiera i giocatori col Sì pare anche a me un’operazione di dubbio gusto, decisamente discutibile e forse inopportuna. Però appartiene anch’essa alla democrazia, esattamente come l’aver regalato la bandiera dei quattro mori a Berlusconi, celebre trovata di alcuni leader sardisti. Così come è legittimo che Tonino Cau, leader dei Tenores di Neoneli, si sia pubblicamente espresso a favore del Sì (e lascio perdere, per il disgusto che mi hanno provocato, gli insulti che gli sono piovuti addosso). E i sindaci che hanno salutato Renzi e hanno condiviso il palco con lui, sono servi? No, sono rappresentanti delle Istituzioni che salutano un’Istituzione, il capo del governo, sulla cui azione politica si può pensare tutto il bene o il male possibile. Tra questi, qualcuno ha deciso anche di sostenere la campagna per il Sì, altri no, come in ogni democrazia. Io ho sempre più l’impressione che si confondano l’educazione e il rispetto dei ruoli col dissenso.
Tra i sostenitori di Renzi, come tra quelli dei tempi di Berlusconi, ci sono certamente anche dei servi avidi d’ambizione, come in ogni sottobosco politico. Ma c’è anche tanta gente disinteressatamente convinta che Renzi oggi e Berlusconi ieri rappresentassero una speranza: non è che se non la si pensa come noi si è automaticamente dei servi. Tornando alle domande iniziali, stiamo ai fatti. Si sta arrivando al crocevia di una riforma istituzionale che contiene molti aspetti insidiosi, specie nella ridefinizione del rapporto Stato-Regioni. Una riforma che potrebbe segnare la fine di questo governo, nel caso in cui l’elettorato la respingesse. Ma questa riforma non la sta imponendo nessuno. Sarà la gente a decidere, attraverso la massima espressione della democrazia: il Referendum, con la erre maiuscola. Ieri, a due settimane dal voto, il No veniva dato in vantaggio sul Sì in tutti i sondaggi, a dimostrazione del fatto che non basta andare spesso in televisione per avere ragione. Renzi deve fronteggiare una eterogenea e agguerrita opposizione che, in questo momento, mi pare rappresenti, nel suo complesso, molto più di lui gli umori popolari. Mi starà sfuggendo qualcosa, ma io di regime non ne vedo. Io vedo ancora la Democrazia italiana molto più forte della sete di potere di un uomo. Sono d’accordo con chi ritiene che Renzi sia principalmente un imbonitore, un Mastrota della politica, un prodotto delle nuove tecniche della comunicazione. Assunto che non esclude sue eventuali capacità da statista, nascoste da quella parlantina fastidiosa e spesso vuota: può essere che le abbia, queste capacità, non lo so. Però, ragazzi, forse dimenticate che pochi giorni fa gli Stati Uniti hanno eletto Donald Trump presidente e in Italia Berlusconi ha comandato per quindici anni. Entrambi, impressionante espressione di questa nuova era della politica, tutta slogan e sondaggi. Renzi è l’erede di Berlusconi? Per quel modo spiccio di comunicare, certamente sì. Ma le differenze sono molto più forti delle affinità. Non possiamo dimenticare che Berlusconi ha portato al governo movimenti razzisti e neofascisti e si è fatto lui stesso portavoce del revisionismo storico, operazione sostenuta da un potere mediatico che era certamente più forte di quello che oggi sorregge Renzi.
Eppure siamo qua a confrontarci su un referendum, segno che la democrazia è sopravvissuta anche a Berlusconi. All’attuale presidente del Consiglio, bisognerà riconoscere di avere tenuto la barra dritta su valori essenziali della nostra civiltà, contenuti nella nostra Costituzione. E non tutti coloro che oggi vogliono difendere la Costituzione mi pare ci si riconoscano, in quei valori di civiltà.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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