Un po’ di razzismo ce lo portiamo dentro tutti. Perché è molto più facile incasellare gli uomini dentro degli insiemi da scuola elementare, anziché cercare di comprenderli uno per uno, nella loro irripetibile unicità. Bisogna lavorare su se stessi per cercare di vincere questa debolezza, ma forse non ci si riesce mai fino in fondo. Venerdì notte, io e due amici ci siamo imbarcati sul traghetto per il Continente. Al risveglio, sabato mattina, abbiamo atteso sulle scale per qualche minuto, prima che venissero aperti i garage e potessimo salire in auto per raggiungere la destinazione. Quando siamo arrivati in albergo, ho visto uno dei due amici battersi violentemente il palmo della mano sulla fronte: “Ho dimenticato lo zaino in nave!”. Lo aveva appoggiato sulle scale, dimenticandosi poi di rimetterselo in spalla al momento della discesa verso il ponte. Dentro lo zaino c’erano telefoni e tablet, dunque un certo valore. I telefoni risultavano spenti, la funzione di localizzazione del tablet non attivabile. Abbiamo provato a contattare la compagnia, ma l’unica strada percorribile era compilare un modulo online per segnalare lo smarrimento. E così abbiamo fatto, prima di commentare la sbadataggine, in equilibrio tra pessimismo e ottimismo sulle possibilità di un ritrovamento. Ed è stato nel bel mezzo di questi discorsi, disseminati di congetture e possibilità, che mi è uscita di bocca una coglionata degna del peggior razzista. “Quelli dell’equipaggio sono tutti napoletani, figuriamoci se qualcuno lo restituisce”. Un istante dopo mi sono sorpreso di me stesso, per aver pronunciato una simile sciocchezza, ma ormai l’avevo detta. Sono bastate un paio di telefonate, al mio amico, per sapere che lo zaino era stato regolarmente ritrovato, tenuto in custodia dal personale e poi consegnato alla biglietteria dello scalo di partenza, dove martedì è stato restituito al proprietario. Alla faccia di pregiudizi e luoghi comuni usciti dalla mia bocca. Anni di insiemi da scuola elementare – romani tutti sfaticati, napoletani tutti furfanti, siciliani tutti mafiosi, sardi tutti sequestratori – hanno fatto breccia nel mio cervello, per quanto mi sforzi di respingere queste semplificazioni. E quindi, come si faceva alle scuole elementari, scriverò per dieci volte alla lavagna “sono un coglione razzista”. sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista sono un coglione razzista
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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