“A tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade eravamo gli ultimi cittadini liberi di questa famosa città civile perché avevamo un cannone nel cortile”. Ascoltando questi versi mentre rientravo a casa, mi è venuto in mente che la grandezza dell’artista non sta solo nel cogliere il momento, ma nella sensibilità che permette di prevederne lo sviluppo. Venticinque anni fa, Fabrizio De Andrè immaginava una moderna civiltà anestetizzata, ma dove si sarebbe potuta difendere la proprietà installando un cannone nell’aia di casa. Forse De Andrè non poteva immaginare che un giorno un ministro, abiurando alla sua funzione di uomo dello Stato garante della sicurezza e dell’ordine pubblico, avrebbe abbracciato chi tiene le armi a casa e assecondato la tentazione di ogni cittadino di farsi giustizia da solo in quell’accecante attimo di rabbia. Sembra questo, oggi, il passaggio obbligato per quella famosa città civile. Questo presente sarebbe stato troppo anche per lo sguardo lungo di chi scrisse “La domenica delle salme”.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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