Per fare un bunker (nel senso della mia rubrica) ci vuole una brutta storia, o più di una. Per fare una brutta storia ci vuole poco, molto poco. Basta avere orecchie e occhi aperti e avere il Wi-fi o la TV, o anche solo un vicolo sotto casa. Il punto è che più sei di “ bunker facile” e più vorresti evitare le brutte storie. E alla fine per scrivere un bel bunker è necessario starne fuori. Ad ascoltare le brutte storie.
L’altro giorno c’è stato l’attentato a Manchester, al concerto di Ariana Grande. Una ventina tra adolescenti e bambini sono morti in un attacco suicida. Nelle stesse ore, anzi un po’ prima, in un bar di Pioltello, un gruppo di nordafricani festeggia qualcosa. Qualcuno passa di là, vede la baldoria, l’indomani sente la notizia dell’attentato, fa 2+2=5 e mette in giro la voce che in quel bar si festeggiava la strage. Un giornalista di Panorama, Carmelo Abbate, ospite di “Mattino 5” pesca la bufala dalla sua bacheca e la divulga. E il giorno dopo qualcuno, a quel bar gestito da un giovane nordafricano in Italia da 14 anni, tenta di dare fuoco.
Questa è una brutta storia, finisce peggio di come era iniziata e il giornalista non si sogna neanche lontanamente di chiedere scusa, ma anzi, rilancia.
Anche la storia di Insinna, non è che faccia venire voglia di vicinato, anzi.
La sapete, no? Qualcuno registra un suo fuori onda in cui dice peste e corna di una concorrente. Striscia la notizia prende la sequenza e la spara sui nostri schermi. Insinna ne esce a pezzi. Ha detto cose orribili, d’altra parte, e si è trasformato in un bersaglio per far salire l’audience. Il fatto di parlare come uno qualunque, in un momento di rabbia e in un contesto privato, non lo ha salvato. Le sue parole (scusatemi) erano merda, cosa privata per eccellenza. La domanda che ci si fa in pochi è “fin quando è giusto metterla nel ventilatore e impestare chi c’è sotto?” Lui ha fatto la cacca con le parole e altri –TV e pubblico- si sono divertiti a trasmetterla, guardarla e commentarla. Una specie di pornografia puritana.
E nessuno chiederà scusa, a parte Insinna, per questa storia.
Negli stessi giorni di Manchester, un altro barcone andava a fondo nel Mediterraneo. 34 morti, molti bambini. Abbate non ha lasciato ai posteri commenti memorabili in merito. Striscia non ha fatto alcun servizio-bomba. Evidentemente contano che al loro pubblico non interessi molto.
Entrare nel tunnel e non uscirne più sarebbe un modo come un altro per dire “io non mi riconosco nella barbarie che ci fiorisce attorno”, che è tanto più barbarie quanto più tende a sembrare normale, a tratti divertente, addirittura edificante (molti hanno pensato che Striscia e Abbate hanno fatto buon giornalismo, e sono tra noi, ora). Entrare nel tunnel e non uscirne più potrebbe essere la soluzione.
Un momento! E se poi un giorno Striscia dovesse chiudere per mancanza di pubblico? Mica me lo posso perdere. Va bè, mi faccio anche la parabola.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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