Ci sono dei giorni così. Dove credi di esser giusto e di essere un grande uomo mentre in un altro ti svegli e devi cominciare da zero. Era il 1974 ed Edoardo Bennato quasi uno sconosciuto. Io, a quei tempi, cercavo tutte le possibilità per arrivare a Carlotta, non dico proprio a baciarla ma almeno sfiorarla: “basterebbe un istante” cantava Bennato. Un istante. Ma io, davvero, ero l’assurdo in persona e sfiorare Carlotta mica si poteva. Soprattutto per un comunista. Perché, diciamocela tutta: a quei tempi a sinistra si era davvero molto bigotti, laicamente bigotti, per carità, ma non era pensabile avere l’amante o le scappatelle o sbaciucchiarsi in pubblico e tenersi mano nella mano: tutte cose di destra. Fasciste. Dovevamo fare la rivoluzione, prima. Si camminava dentro questi labirinti di passione e io finivo sempre nei dibattiti sbagliati, a sognare “porci con le ali” e a guardare “le mani sulla città” o “fragole e sangue”. Che poi, a pensarci bene Carlotta era troppo bella per essere compagna e troppo borghese per essere comunista. Ma il padre, avvocato di grido e difensore degli oppressi era un intellettuale di sinistra ben ascoltato in tutti gli ambienti della città. Così, un giorno decisi di registrare una audio cassetta, una C60 come si diceva a quei tempi e tra le altre canzoni ci misi pure “Un giorno credi” di Edoardo Bennato. Regalai la cassetta a Carlotta dopo aver perso una serata a scrivere i titoli, l’autore e l’anno di pubblicazione. Aspettai una settimana e infine le chiesi se avesse ascoltato la mia personale Hit-parade. “Si”, mi rispose e il mio cuore comunista si colorò di un rosso intenso e forte. “L’unica canzone che non mi è piaciuta è Un giorno credi”. Così disse Carlotta e il cuore si frantumò e divenne maceria di vita. “Perché?”, chiesi timidamente. “Triste. Una canzone triste. E poi ci sono parole così stupide: Che significa essere l’assurdo in persona?”. E neppure quella volta riuscii a sfiorarla. “Sono io, l’assurdo in persona”, volevo urlare. Che cosa costa darci un bacio, pensai mentre tornavo a casa ad ascoltare “chissà se mi pensi” del qualunquista Baglioni. Un pezzo del 1974. Vietato per tutti i comunisti veri. Sdraiato sul letto, camera chiusa, per paura che mio fratello potesse sentire del vecchio orsacchiotto, mentre immaginavo Carlotta che smorzava la luce e non trovava più pace. Era il 1974. Avevo 15 anni e pensavo di essere un comunista serio. Ero un semplice cretino imbranato, ma a riascoltare Un giorno credi mi viene la voglia di cercarla la compagna Carlotta e darglielo questo maledetto bacio che, in fondo, me lo merito. Non foss’altro per averla ricordata dopo quarant’anni.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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