Anche oggi una fatica boia, uno sforzo poco umano per trovare argomenti da bunker. Comincio a chiedermi se ne ho ancora voglia, se non sia meglio rassegnarmi all’idea di vivere in mezzo ai miei simili, se le cose che leggo, i fatti che succedono, alla fine non i scandalizzano neanche più e mi fanno dire al massimo: “Ah sì, già visto” e andare avanti. Erano quasi le due di notte quando mi sono imbattuto in un’intervista a Severino, che non è il mio amico macellaio ormai in pensione, ma Emanuele, Severino di cognome, un filosofo italiano che sta a Fusaro come Maradona a Cerci. Titolo del pezzo: “Il dominio della tecnica? Inevitabile”.
Mi si è accesa una lampadina e -alla luce delle parole del filosofo- ho trovato la cosa piuttosto inquietante. Sì, perché secondo Severino, siamo dentro un processo evolutivo che tenderà a trasformarci, più o meno, in macchine. In particolare, il ricorso sempre più massiccio a parti di organismo costruite in laboratorio, rischia di annullare la distinzione tra artificiale e naturale. Specialmente se oltre a protesi, stents, py-pass, inizieremo a farci installare pezzi di sistema nervoso centrale o di sistema immunitario; anzi, credo che abbiamo già iniziato.
Non bastava Hawking, che almeno una volta alla settimana ci ricorda che verremo soppiantati dalle macchine e dall’intelligenza artificiale. Ora Severino va oltre, e avverte che saranno gli uomini a somigliare sempre più alle macchine. Anzi, se non stiamo attenti rischiamo di non incontrarci neanche a metà strada (come quando si scava un traforo in una montagna da due lati) e succederà che alla fine del tunnel le macchine si affacceranno nel campo degli umani e diranno: “Figo, non c’è nessuno: okkupiamo!!1!1!”.
La cosa è inquietante sul serio. In un’intervista a Hawking ho letto l’intervento di una studiosa secondo cui bisogna stare tranquilli, perché chi studia queste cose lavora in modo che i “sistemi artificiali intelligenti abbiano obiettivi in linea con i valori umani” -AFDC!- [nda] e che in nessun modo si evolvano spontaneamente in “nuove direzioni, non gradite”.
C’è solo da sperare che alla fine del gioco, le macchine (che nel frattempo saremo noi), si evolvano talmente tanto da soppiantare gli umani (cioè, le ex-macchine, diventate nel frattempo umane). Ho come il sospetto che potrebbe però succedere questo: a un certo punto gli umani (quelli che un tempo erano macchine) diranno: eh no! basta con questo dominio della tecnica, spegniamo le macchine e torniamo ai bei vecchi tempi, quando ci prendevamo a randellate e usavamo i segnali di fumo.
E decideranno di spegnerci in nome di un ideale di umanità finalmente ritrovato.
Ok, vado a finire lo scavo per la legnaia.
A mano, perché il martello elettrico mi sta guardando storto, dice che è sabato e non ne ha voglia.
Bip.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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