Sono trascorsi 40 anni da quanto il film di Bernarndo Bertolucci “Ultimo tango a Parigi” veniva condannato dalla Cassazione alla distruzione delle copie. (era il 29 gennaio 1976) Questo film risulta però al secondo posto tra i film più visti di ogni tempo in Italia. A quei tempi il nostro paese era gonfio di moralizzatori falsi e iprocriti. Bertolucci decise di scrivere una lettera aperta, pubblicata su alcuni quotidiani dove ironicamente si chiedeva: “In quale forno crematorio sarà bruciato il negativo di Ultimo tango a Parigi.” Bertolucci, inoltre, nella sua lettera affermava che con quella sentenza definitiva i giudici avevano mandato “in un campo di sterminio le idee al posto di alcuni milioni di spettatori adulti, gli stessi che si sono guadagnati il diritto di votare, di scioperare e di divorziare, colpevoli di aver amato, odiato o comunque di avere visto Ultimo tango.” Parole dure come pietre, e non erano sole. La lettera aperta concludeva: “Nell’Italia del 1976 siete soltanto una minoranza in via di estinzione storica, naturale, biologica”. Quel film lo hanno visto in molti e io l’ho visto negli anni 90 (nel 1972, quando uscì avevo solo 13 anni) in videocassetta. E’ una storia apparentemente semplicissima, con una bellissima fotografia (Vittorio Storaro) e un’ottima colonna musicale (Gato Barbieri). E’ un film lento, lentissimo, che gioca quasi esclusivamente su due protagonisti: un immenso Marlon Brando e una giovanissima e, soprattutto sconosciuta, Maria Schneider. Il film gioca sull’incontro tra un americano trapiantato a Parigi e una ventenne figlia di un colonnello. Un appartamento sfitto; un pied-à-terre universale dove si tenta di annaspare tra la vita e la storia. E’ un incontro fatale dove i due protagonisti fanno molto sesso. Venne ritirato quasi subito dalle sale anche se il Tribunale di Bologna ne aveva prescritto il dissequestro ma, infine, passò la linea di un film ritenuto “osceno e privo di contenuto artistico”. Nel mentre, nacque “il mito”. La gente cominciò a riversarsi nelle sale dopo il dissequestro e ne decretò un successo prima italiano e, successivamente mondiale. La Cassazione pronunciò però la sentenza definitiva: tombale. Tutte le copie dovevano essere annientate per l’eternità: solo tre esemplari avrebbero potuto essere conservati nella Cineteca Nazionale di Bologna, come “corpo del reato”. Eravamo un paese bigotto e insulso: bacchettone e falso. In realtà non siamo cambiati. Molti, parlando del film, ricordano solo la scena del burro. Come se ci chiedessero della storia di Roma imperiale e parlassimo solo dell’incendio di Nerone. Ho rivisto “ultimo tango” lo scorso anno. Lo trovo un film bellissimo: sulla solitudine degli esseri umani. Bertolucci ha raccontato quella sospensione che l’amore non cuce e che, invece, raccoglie la passione. E la passione, il più delle volte, non si nasconde tra le pieghe di una famiglia costituzionale ed è per questo che non viene quasi mai concesso il perdono. Anche oggi un rapporto non codificato dal matrimonio, come quello tra i due protagonisti dell’Ultimo tango, è qualcosa di censurabile. Il family day, paradossalmente, ci ha riportato indietro di molti anni. E non è una bella notizia perchè è in gioco la libertà. Riflettiamoci.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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