Ditemi se era necessario… Era davvero necessario offrire in pasto al mondo quel corpicino senza vita? Per scuotere coscienze, dite. Scusate, quali coscienze? Quelle che esistono, vive e palpitanti, sussultano anche solo per la notizia in sé, senza l’esigenza di fargli posare addosso gli occhi di tutti. Senza il bisogno di profanare con lo sguardo un piccolo cadavere riverso sulla sabbia. Quelle che non ci sono, non esistono. E non daranno segni di vita nemmeno dopo quella violentissima esposizione mediatica. Non erano sufficienti le immagini dei cadaveri sui barconi, quei corpi galleggianti nel mare? Quelli stipati dentro un furgone? Certo che no! L’asticella va spostata sempre più in alto, in un’assurda gara al rialzo per vincere l’anestesia emotiva dei razzisti. Ditemi, quale sarà la prossima tacca da oltrepassare, dopo aver abituato la vista ai piccoli cadaveri?
Perché il rischio di assuefazione, purtroppo, è elevatissimo.
Quando preparavo un esame di medicina legale, utilizzavo un libro di testo accompagnato da illustrazioni che non concedevano sconti e allora studiavo coprendo le immagini con un foglio bianco. Dopo alcuni giorni la curiosità mi aveva spinta a sollevare un lembo di quel foglio per sbirciare giusto un pezzetto di fotografia. Piano. Delicatamente. Con cautela. E lo avevo sollevato con la stessa morbosa curiosità e timore di quando, da spettatrice di un film horror, mi coprivo gli occhi con una mano però poi aprivo uno spiraglio fra le dita per non perdere nemmeno un fotogramma. Trascorso dell’altro tempo studiavo senza schermare le foto. Passata ancora qualche settimana, visto l’avvicinarsi della sessione d’esame, per non perdere tempo studiavo e mangiavo contemporaneamente e il libro aveva trovato posto accanto alle mie posate. Corpi che penzolavano appesi a una corda e cadaveri fatti a pezzi erano diventati dirimpettai del mio piatto di spaghetti. Sebbene continuassi a concedere a quelle immagini la drammaticità che le caratterizzava, mi ero abituata alla loro vista.
Quando i razzisti si sono imbattuti nella foto di Aylan avranno sussultato per un attimo, forse. Un moto di sincero dispiacere sarà scaturito alla vista di quell’immagine dolorosissima. Ma poi sarà tornata quel cazzo di particella avversativa “ma” Io non sono razzista MA… Ma i clandestini sono troppi. Ma abbiamo già i nostri poveri e disoccupati. Fino al paradosso del MA è proprio per impedire queste tragedie che andrebbero aiutati a casa loro.
Io so bene che chi ha contribuito alla diffusione della foto l’ha fatto con intenti nobili e apprezzabili, del resto campeggia nelle bacheche di tanti miei amici dei quali conosco la sensibilità e l’intelligenza. So altrettanto bene che il loro obiettivo era l’urlo che aiuta il cambiamento. E allora portatemelo davanti un razzista, uno solo, che si sia convertito dopo la vista di quella foto ed io tappezzerò i muri delle città con l’immagine di Aylan. Ma quel che temo, e di cui sono convinta, è che la profanazione di quel corpicino ed il sacrilegio della sua esposizione siano stati inutili. Ecco perché nella mia bacheca non vedete Aylan. Perché ho scelto di restituirgli, almeno col riserbo, la dignità che quella morte atroce gli ha strappato.
(foto di Laura Manchinu)
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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