Il punto interrogativo è d’uopo. Perché che sia davvero ultima, iononloso ma ci credo forteforte. Lo vogliamo mettere o no un punto a tutto ciò? Cribbio! Quindi sarò breve (se se credici): una volta dimessa dalla Clinica di Locarno, passo un po’ di tempo a casa di GianMix e Maurizzera. I dolori articolari ci sono e sempre più forti e sempre transumanti da zona a zona. Una volta tornata a casa, sto praticamente a letto per più di un mese e mezzo, gli unici passi che compio sono dal letto al bagno o alla cucina. Muovermi era un sacrificio e addio indipendenza anche solo per sedermi sul wc. Ancora febbre alta che mi procurava tutta una serie di conseguenze, compresa la tachicardia. Tanto che durante un elettrocardiogramma, i medici dicono di rilassarmi e mi lasciano da sola in penombra per agevolarmi. Io glielo spiego che è colpa della febbre alta, così misurano e prendono atto che nonostante un bel 39 continuo a deambulare tranquilla (dolori permettendo). Non è che fossi ‘n’eroina, in realtà era ormai tanto tempo che mi si accumulavano sintomi su sintomi che la febbre alta era l’ultimo dei miei problemi e ci convivevo ormai da mesi. Continuavo a dimagrire arrivando a 42 kg (partivo da 50kg peso forma). Si rafforzava comunque l’idea che le protesi fossero coinvolte in tutto ciò. Se non come causa, già ho scritto che sono stati fatti molti studi e non si è dimostrata evidenza scientifica, potevano essere invece degli “amplificatori” di un qualcosa che si era innescato, magari a causa di un microrganismo fottuto bastardo et abusiverrimo.
Una possibile conseguenza di un’infiammazione cronica causata da protesi, poteva essere il linfoma anaplastico e così fissarono delle analisi, compreso l’agoaspirato al liquido formatosi dietro le protesi. Era agosto e nel frattempo mi rivolgevo all’endocrinologo per escludere problemi alla tiroide, al reumatologo per escludere malattie di sua competenza. Il primo fece una visita accurata con eco e analisi e mi disse tutto ok. Il secondo girò tutte le articolazioni come manovelle e senza ecografia o altri esami, escluse qualsiasi artrite&Co.
Oltre a febbre e artralgie, si associarono altri sintomi, un pacchetto completo: rash cutanei, delle bollicine che seguivano il percorso dei tendini; pressione bassissima tanto che svenivo qua e là e dovevo portarmi il Gutron in borsa; degli strani capogiri anche solo a girarmi nel letto, tre secondi di giostra intensissimi ogni volta che cambiavo stato (non su Facebook ma da seduta a sdraiata, in piedi, rigirandomi etc) e che mi facevano sbandare mentre camminavo; perdevo capelli e peso; le caviglie si gonfiavano senza un perché. In più una roba allucinante che è continuata anche dopo la rimozione delle protesi, un prurito assurdo. Un prurito molto diverso da quello che si prova con la dermatite (mia compagna di vita), un prurito “interno” che anche grattandoti non riesci a debellare. Per spiegarmi, quando hai la dermatite e ti gratti pesantemente, assumi la stessa espressione di Santa Teresa del Bernini. Quasi che sotto le aree arrossate si nasconda il vero punto G. Un autoerotismo alternativo. Qui, no! Alle tre di notte mi svegliavo con questo assurdo prurito che non coincideva alle zone dove comparivano i rash cutanei. Infatti dove erano presenti le bolle, non c’era prurito. Le macchie comparivano e sparivano senza colpo ferire, il prurito come dicevo, era più profondo. Come se scorresse nelle vene. In più, un sudore notturno e copioso mi svegliava pure lui e dovevo cambiarmi in piena notte. E allora vai in ematologia per escludere malattie del sangue, dove un dottore color grigio burocrazia, legge con aria di rimprovero il mio emocromo sballato. Non smetterò mai di scusarmi per questo.
Visto che sembravano davvero le protesi, in attesa dei giorni in cui erano fissati gli esami in IEO, mi rivolsi anche a una bravissima chirurga qui a Sassari, sapevo per esperienze altrui che mi sarei trovata benissimo. Lei mi ascoltò con attenzione, trovai conforto a sfogarmi e mi prese in carico fissando una rivalutazione di quel liquido periprotesico, per eventualmente svolgere un agoaspirato. Il radiologo non ritenne opportuno praticare l’aspirato, nel suo referto si parla di “piccola quota di versamento con aspetto anecogeno”. Sicché, interrotta la via sassarese, confermo le date degli appuntamenti, recandomi come uno straccio logoro a Milano, dove una radiologa classe ’75 da quella piccola quota, estrae 20 ml per eseguire citologico e istologico. L’esito confermò lo stato infiammatorio attivo. Allo IEO dopo queste indagini, concordarono così la rimozione delle protesi per “sospetta intolleranza”. L’8 settembre 2016, una volta tolto l’ambaradan, la febbre in effetti cessò. Tanto che la sera dopo l’intervento, dormii come ormai da mesi non riuscivo a fare più. La mia temperatura esterna e interna si normalizzò. La febbre infatti mi dava brividi insistenti e un freddo eccessivo, per me 23 gradi era inverno e l’aria condizionata mi provocava tremori da crisi d’astinenza. Ora finalmente, almeno parte dei sintomi, erano andati via.
Si trattava ora di recuperare chili persi e rimanevano però i dolori e gonfiori articolari, quel prurito interno e quel sudore notturno eccessivo. Solamente a marzo 2017 mi è stata finalmente data una diagnosi, un anno dopo la comparsa di questa febbre bislacca. Il mitico ortopedico che nel 2014 mi curò la caviglia pelosa durante la chemio, consigliò una brava reumatologa e lei, dopo aver fatto una bella visita approfondita e aver ipotizzato un’artrite psoriasica, fece richiesta di opportuni esami ed ecografia. Gli esami e l’eco confermarono. Appena il radiologo appoggiò la sonda su un polso gonfio come uno zampone senza lenticchie, disse: “Potrei fermarmi qui, è certamente artrite”.
E da qui io sono rinata l’ennesima volta, qualcuno mi ha chiesto “Ma sei felice perché hai l’artrite?”, no è diverso. Per me è stato un anno dimmerda, ma davero davero ho rischiato la depressione e forse l’ho pure guardata in faccia. Perché la cosa più terribile non è il dolore, come quello ai polsi e alle dita, ad esempio, che non mi permetteva di svolgere le cose più scontate: aprire un vasetto di yogurt, sganciare il reggiseno (e chi ci arrivava alle scapole?), girare la chiave del portone, chiudermi il giubbotto e tante altre operazioni più semplici. Quel dolore talmente era persistente che il mio corpo reagiva con un sonno analgesico.
La cosa più terribile non è nemmeno viaggiare con un seno sì e uno no, anche se con la mia seconda scarsa, non è così evidente il gap. Tanto che all’ultima mammografia dopo aver schiacciato l’unico seno rimasto, il doc ha detto “Bene, passiamo all’altro” io perplessa e anche un po’ indignata, ho risposto “No dottò so’finite”. E non ho intenzione di rimettere protesi ché con questa autoimmunità sarebbe solo una spada di Damocle e lì dove manca il seno ho già in previsione un bel tatuaggio 3D.
No siore e siori, io il giorno della diagnosi sono rinata perché la cosa più terribile, ciò che ti manda veramente in tilt e che ti fa vivere in un’angoscia soffocante, è non poter dare un volto e un nome al nemico da sconfiggere!
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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